Mercati senza più abbrivio

Nelle ultime settimane è calato l'ottimismo sulle prospettive della congiuntura mondiale. Le preoccupazioni non riguardano solo l'Europa.

Marco Caprotti 24/04/2012 | 13:35
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Le Borse mondiali sembrano aver esaurito la spinta propulsiva che le aveva sorrette durante il primo trimestre dell’anno. L’indice Msci World nell’ultimo mese (fino al 23 aprile e calcolato in euro) ha perso poco più del 2%, anche se la performance da inizio anno resta positiva per il 6,5%.

“Alcuni indicatori mostrano un peggioramento della crisi fiscale in Europa e un rallentamento in importanti mercati emergenti”, spiega uno studio di Thomas White International (Twi). “Tutto questo ha portato a un calo dell’ottimismo sulle prospettive della congiuntura mondiale”. Nel Vecchio continente l’epicentro della crisi si è spostato dalla Grecia alla Spagna. Madrid ha anche avuto difficoltà a piazzare un’emissione obbligazionaria, facendo salire i rendimenti dei bond di altri stati traballanti. I dati sulle vendite al dettaglio della Cina suggeriscono un calo della domanda interna. Un elemento peraltro confermato dalla discesa delle importazioni. Negli Stati Uniti, intanto, a marzo sono usciti i dati sull’occupazione, che sono stati al di sotto delle attese degli economisti. “Un fattore, questo, che può incidere negativamente sulla fiducia dei consumatori e sulle importazioni dai paesi emergenti”, continua il report di Twi.

Dall’Europa al resto del mondo
I segnali arrivati dagli indicatori macro non ha influito soltanto sull’equity, ma hanno portato una correzione di alcune commodity. Fra queste il petrolio che, tuttavia, è riuscito a contenere le perdite grazie alle preoccupazioni relative alle scorte. “Il nostro parere cauto riguardo al mercato è alimentato dalla convinzione che il recente rally sia principalmente la conseguenza delle azioni intraprese dalle banche centrali in tutto il mondo piuttosto che il risultato di un miglioramento effettivo dei dati fondamentali o di una soluzione vera alla crisi del debito sovrano”, spiega uno studio firmato da Pier Alberto Furno, amministratore delegato di Nemesis AM.

“Nel contesto attuale i riflettori sono puntati sull’Europa ma si sposteranno molto velocemente sugli Usa e sul Giappone”. Il debito americano ha superato i 15mila miliardi di dollari e si stima che il governo americano abbia, per il quarto anno consecutivo, un deficit superiore ai mille miliardi. “Il dibattito sul tetto del debito l’anno scorso fu risolto con decisioni politiche dell’ultimo momento”, continua Furno. “In quest’anno di elezioni, c’è da scommettere che i politici non faranno nulla sul tema del precipizio fiscale, almeno finché gli elettori non avranno detto la loro”.

Il Giappone, intanto, ha segnalato il primo deficit commerciale in 30 anni: le esportazioni sono scese del 2,7% l’anno scorso mentre le importazioni sono cresciute del 12%. Questo ha avvalorato la tesi secondo cui l’economia giapponese vacilla ogni giorno di più. “Il surplus del bilancio corrente nipponico continua a restringersi e i risparmi delle famiglie si stanno erodendo a causa di un allungamento della durata della vita, di una diminuzione della forza lavoro e di un numero più elevato di pensionati”, dice l’Ad di Nemesis. “È probabile che i deficit fiscali del Giappone restino a livelli elevati, il che implica che l’indebitamento crescerà ulteriormente. Sembra via via più probabile una punta improvvisa e sorprendente nei rendimenti. Il problema è che, appena i loro tassi si muoveranno, saranno in default”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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