Pensioni, cantiere sempre aperto

Si allenta il blocco sulla rivalutazione Inps contenuto nella finanziaria. Ma gli assegni sono comunque destinati a ridursi.

Valerio Baselli 13/07/2011 | 15:38
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Il cantiere delle pensioni non va in vacanza. La proposta iniziale del ministro dell’Economia Giulio Tremonti (che prevedeva una rivalutazione dell’assegno mensile Inps del 100% fino a 1.428 euro, del 45% nella fascia tra 1.428 e 2.380 euro, e senza rivalutazione per l’importo eccedente tale somma) è stata molto osteggiata da sindacati e opposizione.

La controproposta prevedeva una soluzione più morbida, ovvero che gli assegni entro i 3.800 euro mensili sarebbero stati dispensati dal blocco della rivalutazione per il 2012 e il 2013. Lo stop totale dell’adeguamento annuale al costo della vita avrebbe dovuto quindi partire da questa soglia, pari a 8 volte il minimo previsto dalla legge.

In realtà, le ultime discrezioni parlano di una soluzione ancora differente: Gilberto Pichetto Fratin (Pdl) ieri pomeriggio in commissione Bilancio del Senato ha proposto la rivalutazione aumentata al 70% per gli assegni tra 1.400 e 2.300 euro e azzerata oltre tale soglia, contributo di solidarietà del 5% sui trattamenti da 90 mila euro in su e del 10% oltre i 150 mila, anticipo al 2013 dell’aggancio all'aspettativa di vita e posticipo nel 2012 di un mese e poi di due e di tre dell’uscita dal lavoro per chi ha 40 anni di contributi.

Tutto questo dovrebbe garantire la soglia di risparmio indicata a suo tempo dal ministro Tremonti. Senza dimenticare l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, per arrivare a 65 anni, non partirà dal 2012 ma gradualmente dal 2020, così da arrivare alla parità nel 2032.

Giovani, assegni più leggeri
A prescindere dalle manovre per sistemare i conti dell’Inps, l’unica certezza è che la pensione pubblica non potrà più garantire i trattamenti passati. Secondo un recento studio pubblicato dall’ente di ricerca Censis in collaborazione con Unipol, il dipendente privato che è andato in pensione nel 2008 ha incassato una pensione che vale il 68,7% dell’ultima retribuzione. Suo figlio, invece, quando lascerà il lavoro nel 2040 prenderà solo il 52,4% dell’ultimo stipendio. Per non parlare dei lavoratori autonomi, già penalizzati da una “finestra mobile” che li costringe ad aspettare sei mesi in più rispetto ai dipendenti prima di incassare il primo assegno previdenziale.

Intanto, l’Italia resta, tra i grandi Paesi europei, quello che ha di gran lunga la più consistente quota di spesa pensionistica sul totale delle prestazioni sociali: nel 2008 era al 60,7%, contro il 43% della Germania, il 45,8% della Francia, il 39,7% del Regno Unito e il 39,6% della Spagna.

Il ruolo della previdenza complementare
Il contributo della previdenza complementare, afferma l’analisi, integrato nella stima sulla base di una aliquota del 6,91%, limita lo svantaggio delle generazioni più giovani soprattutto per i lavoratori dipendenti, per i quali il tasso di sostituzione si ferma nel 2040 al 63% circa, mentre per gli autonomi è del 42% circa. Naturalmente gli assegni integrativi dipenderanno dall’entità dei contributi che saranno prima stati versati. Ma, almeno nello scenario preso in considerazione nel rapporto, non basteranno a colmare il gap col 2008 e coi suoi tassi di sostituzione comunque più generosi.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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