2008, fuga dalle Borse dell’Est

Gli investitori le percepiscono ad altissimo rischio. In Russia la crisi diventa sociale.

Maria Grazia Briganti 30/12/2008 | 14:13
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Il 2008 si conclude al peggio per i mercati dell’Est Europa, dove la crisi economica e finanziaria in atto, il brusco calo del prezzo del petrolio e la debolezza delle valute locali hanno messo in ginocchio economie che, fino a meno di un semestre fa, crescevano a tassi reali vicini al 10%.

Le perdite vanno dal -51% per la Borsa turca e quella polacca, al -53% dell’indice ungherese, al -79% della Borsa di Sofia (dati in valuta locale calcolati alle chiusure del 29 dicembre).

Bilancio preoccupante anche per la Russia, che ha visto crollare l’indice di riferimento di oltre il 70% nel 2008, a causa della fuga dei capitali stranieri

dal paese. Ma non è solo il mondo finanziario russo ad essere in crisi: la situazione sociale si fa sempre più critica a causa dei licenziamenti e del mancato pagamento dei salari.

Secondo alcuni dati diffusi dal Governo moscovita, la disoccupazione sta crescendo a livelli allarmanti: solo nel mese di novembre i senza lavoro sono aumentati di 400mila unità e stime non ufficiali parlano di 4 milioni di disoccupati per il 2009, pari al 10% della popolazione attiva. E già si parla di possibili rivolte e manifestazioni di piazza.

Da più parti negli ambienti internazionali vengono sollevate critiche all’operato di Vladimir Putin. Spiegano gli strategist di Union Investment che l’economia russa dipende ancora troppo dall’industria petrolifera e che il presidente Putin non è riuscito a diversificare la struttura economica del Paese e il rovinoso calo del prezzo del petrolio ha messo in ginocchio i colossi nazionali che ora chiedono gli aiuti statali per far fronte alle perdite.

Le pressioni sul fronte commerciale a livello globale hanno costretto la banca centrale ad aumentare la banda di oscillazione del rublo nei confronti del paniere euro-dollaro, permettendo alla valuta russa di perdere ancora terreno (-19% nell’anno contro il dollaro), arrivando a toccare il minimo storico contro le due divise.

In calo anche il fiorino ungherese, sceso a livelli minimi e penalizzato ulteriormente dalla politica monetaria espansiva che la Banca centrale sta attuando a più riprese per sostenere l’economia. L’ultimo taglio, di 50 punti base, ha portato i tassi al 10%, ma la valuta è riuscita a mantenersi stabile, contenendo la flessione al 10% nel 2008.

Una misura, quella della diminuzione del costo del denaro, che non tutti i paesi della regione possono intraprendere, a causa dell’elevato tasso di inflazione che caratterizza alcune economie come quella bulgara e turca. In Slovenia, al contrario, il calo di petrolio e materie prime sta portando i prezzi ai livelli del 2007.

Discorso analogo per la Croazia, dove la crescita è fortemente rallentata e pari all’1,6% nel 2008. Si tratta del più basso tasso di crescita degli ultimi 8 anni e le stime parlano per il prossimo anno di un Prodotto Interno Lordo non superiore all’1%, a causa della crisi del comparto manifatturiero. La flessione del settore automobilistico ha invece avuto forte impatto sulla Slovacchia, dove le maggiori aziende produttrici hanno concentrato la proprie strutture produttive.

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Info autore

Maria Grazia Briganti  è stata editor & analyst di Morningstar Italy

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