Sulla lotta al surriscaldamento del pianeta, il quadro che emerge dal summit sul clima di New York del 21-23 settembre e dai dati sull’impegno delle aziende e degli investitori ha tante luci e ombre. All’incontro, che ha preceduto l’assemblea generale delle Nazioni Unite e sarà ricordato per il forte appello della giovane Greta Thunberg, 66 Paesi, 102 città e 93 imprese si sono impegnate a raggiungere zero-emissioni di CO2 entro il 2050. La Russia, uno dei più grandi inquinatori al mondo, ha annunciato di voler attuare l’Accordo di Parigi del 2015, senza tuttavia ratificarlo. Restano, però, due grandi nazioni, come il Brasile e gli Usa, che continuano a non prendere seriamente in considerazione la questione. Anche sul fronte degli investitori, i segnali incoraggianti ci sono, ma non vanno sottovalutati alcuni campanelli di allarme.
Risoluzioni sul clima
Se guardiamo ai dati Morningstar sulle ultime assemblee degli azionisti negli Stati Uniti, vediamo che le risoluzioni sul tema sono diminuite rispetto agli anni scorsi, ma è aumentato il tasso di successo delle attività di engagement. Questo significa che il dialogo attivo tra società e investitori è più fruttuoso che in passato, per cui le prime si impegnano ad affrontare le questioni ambientali senza che si debba arrivare al voto. Purtroppo, però, non sempre è così, perché la regolamentazione e gli interventi dell’autorità statunitense di vigilanza sui mercati (Sec) sono diventati meno favorevoli rispetto al passato.
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