Gli Usa deludono chi gioca d’anticipo

Nel 2015 i fondi specializzati negli Usa si sono comportati bene. Le cose cambiano se si allarga l’orizzonte temporale. In portafoglio, i migliori prodotti hanno società con un buon vantaggio competitivo.

Marco Caprotti 28/01/2016 | 11:36
Facebook Twitter LinkedIn

Chi ha investito negli Stati Uniti nel 2015 può ritenersi soddisfatto. Chi lo ha fatto prima, invece, mastica amaro. I fondi dedicati alla locomotiva dei mercati mondiali venduti in Italia (raccolti nel database Morningstar) l’anno scorso hanno guadagnato, mediamente, il 9,3% (in euro). La tendenza diventa negativa, invece, se si allarga l’orizzonte agli ultimi tre anni: dai valori di picco massimo, infatti, i portafogli dedicati agli Usa hanno lasciato sul terreno (mediamente) poco più del 12%.

Federal Reserve e gestione attiva sono stati i temi che hanno condizionato gli investimenti negli Stati Uniti. Elementi legati a doppio filo l’uno all’altro visto che la possibilità di un rialzo dei tassi di interesse Usa, data per imminente durante tutto il corso del 2015 (soprattutto nella seconda metà dell’anno e poi arrivata a dicembre), ha costretto i gestori a riposizionare i portafogli più volte.

Chi ha corso e chi no
A livello settoriale, il 2015 verrà ricordato come l’anno nero per i titoli energetici a Wall Street. Il settore di riferimento è il peggiore tra i 10 che compongono l'S&P 500 con una perdita del 22% circa. A seguire c'è il settore delle materie prime con un -9%. Persino un settore difensivo come quello delle utility ha perso quota (-8%) e altrettanto hanno fatto i titoli industriali (-4%), quelli finanziari (-3%) e dei servizi tlc (-1%). La maglia rosa va invece ai beni discrezionali (+9%) seguiti da sanità, IT (+5%) e beni di prima necessità (+5%).

L’analisi dei portafogli indica che i fondi con le performance migliori dell’anno scorso hanno preferito orientarsi su titoli con un Economic moat (così Morningstar chiama il vantaggio competitivo) ampio o medio. Segno che, in una situazione di incertezza come quella generata dal comportamento poco chiaro della Fed in materia di politica monetaria, i money manager hanno optato per le aziende che, in passato, hanno saputo navigare in qualsiasi condizione di mercato.

Un po’ di Italia
Una mano alla performance dell’anno scorso è arrivata anche dall’Italia. Il 2015, infatti, si è chiuso in corsa per il titolo Fiat Chrysler Automobiles quotato al New York Stock Exchange. Per Ferrari, sbarcata al Nyse il 21 ottobre scorso e arrivata a Piazza Affari il 4 gennaio, il risultato è stato, invece, meno pronunciato. Le azioni del gruppo auto guidato da Sergio Marchionne hanno aperto l'anno intorno agli 11,69 dollari per arrivare a viaggiare a 14 dollari circa alla fine del 2015. L'incremento è stato del 20%. Per il Cavallino Rampante invece il 2015 si è chiuso con un balzo del 15% a 60 dollari rispetto al prezzo di collocamento fissato a 52 dollari.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

LEGGI ALTRI ARTICOLI SU
Facebook Twitter LinkedIn

Titoli citati nell'articolo

Nome TitoloPrezzoCambio (%)Morningstar Rating
Ferrari NV410,01 USD-2,46Rating
Stellantis NV24,39 USD-1,91Rating

Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures