La caccia allo sconto si complica

Le difficoltà a individuare le occasioni d’acquisto non nascono dalle valutazioni, ma dalle complicazioni con cui avranno a che fare le diverse aree geografiche. Ecco dove tenere puntati i fari.  

Marco Caprotti 16/12/2014 | 09:43
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Non sarà facile interpretare i grafici per andare a caccia di mercati a sconto nel 2015. Il problema non saranno tanto le valutazioni, quanto la moltitudine di elementi che potranno condizionare i prezzi e con i quali gli investitori dovranno fare i conti. In una situazione del genere, dicono gli operatori, sarà inevitabile prendere qualche rischio in più.

Cosa non sconta il mercato
“I fattori di incertezza che attualmente risultano già incorporati nei prezzi di mercato sono il crollo dei prezzi delle materie prime, il rischio di un maggiore rallentamento della crescita globale (dovuto principalmente alla Cina e all'Europa), i timori legati alla deflazione e i rischi geopolitici (Ucraina/Russia e Iraq/Siria/Stato islamico)”, spiega uno studio firmato da Michael Waino Hansen, Senior strategist di Global Evolution. “Gli elementi che invece non risultano completamente scontati sono: l’indice Pmi manifatturiero cinese sotto 50 punti e l’annuncio ufficiale da parte del governo cinese di un obiettivo di crescita nel 2015 del 7% (o anche inferiore); l’astensione da parte della Bce dal Qe; una notevole battuta d’arresto sulla ripresa degli Stati Uniti; un ulteriore calo del prezzo del petrolio greggio (Wti); rendimenti dei Treasury americani in salita, con i titoli a 10 anni sopra il 3%; il timore che lo Stato islamico compia atti di terrorismo in una o più grandi aree urbane occidentali”.

Tuttavia non sono le sole questioni sul tavolo. Ciò che potrebbe sorprendere e sostenere il sentiment del mercato nei prossimi mesi, ad esempio, è un’inversione di tendenza nelle tensioni tra Ucraina e Russia e, quindi, una eventuale revoca delle sanzioni. “Poi c’è l’atteggiamento degli investitori istituzionali giapponesi ed europei che stanno investendo sempre più sul debito dei mercati emergenti e sul mercato forex, allontanandosi dal rendimento basso e negativo del reddito fisso domestico e dalle Banche centrali nazionali, che deliberatamente operano per sgonfiare le loro rispettive valute” dice Hansen.

Usa
L’attenzione degli investitori continuerà a essere puntata sugli Stati Uniti e, in particolare, sulle decisioni che verranno prese durante le riunioni della Federal Reserve. “Mentre le politiche monetarie resteranno estremamente accomodanti a livello internazionale il processo dinormalizzazione comincerà nel 2015 con un rialzo dei tassi negli Stati Uniti, atteso per la metà del prossimoanno, a patto che il tasso di disoccupazione statunitense continui a scendere più velocemente delle attese ela crescita dei salari cominci a salire”, spiega un report di David Kelly, responsabile del team globale degli strategist di Jp Morgan Asset Managements. “Quando la Federal Reserve inizierà a muoversi – prosegue Kelly - aumenterà il tasso sui Fed Fund per non più di un quarto di punto percentuale in ciascun incontro, al fine di mantenere morbido il processo verso la neutralità monetaria”. Al termine di questo percorso la Fed potrebbe volere essere sicura che i tassi a lungo termine restino superiori rispetto a quelli a breve termine, il che implica rendimenti totali negativi lungo tutta l’intera curva dei Treasury per scadenze di due anni e superiori per tutto il 2015. “Di conseguenza il 2015 dovrebbe essere un anno in cui sottopesare i Treasury e i titoli con scadenze a breve termine negli Stati Uniti, anche perché i mercati finanziari al di fuori di questi possano offrire di meglio” dice Kelly.

Europa
Nel 2014, contrariamente alle aspettative, in Europa non si è vista la ripresa: le obbligazioni a lunga scadenza hanno generato performance notevoli, l’azionario europeo ha sottoperformato. E mentre gli Stati Uniti hanno messo l’economia in terapia intensiva, gli altri paesi sviluppati non hanno seguito il loro esempio e, dopo alcune ricadute, ora sono nuovamente sotto osservazione. “Per questo, il gap tra tali economie sviluppate e gli Stati Uniti sta crescendo, soprattutto dato il ruolo degli Usa come motore della crescita, che sta accentuando questa differenza”, spiega uno studio di Ubp. Inoltre, proprio mentre la Federal Reserve sta terminando il programma di allentamento quantitativo e sta iniziando a valutare un graduale rialzo dei tassi di interesse per il 2015, la Banca centrale europea e la Bank of Japan stanno continuando a offrire liquidità a basso costo. “Questo vuol dire che la curva dei rendimenti statunitensi continuerà a dare migliori ritorni rispetto alle controparti dell’Europa e del Giappone”, dice il report. “Le riforme strutturali hanno dato maggiore stabilità alla periferia europea e alcune economie stanno anche mostrando segnali di miglioramento”. Tuttavia, ci sono dei rischi nel Vecchio continente, che sta attraversando un lungo periodo di crescita modesta. “Ciononostante, le valutazioni dell’azionario europeo restano allettanti e ci sono buone opportunità di income. I bilanci delle società europee sono certamente migliorati in maniera notevole e i dividendi costituiscono il 60% dei ritorni di lungo termine dell’azionario. Inoltre, i titoli azionari europei continuano a offrire un valore significativo, poiché scambiano nella parte bassa del range storico” dice il report.

Guardando più a nord, sia Svezia che Norvegia hanno fatto registrare tassi di crescita discreti, spinti anche da un forte aumento della domanda interna, mentre Danimarca e Finlandia sono rimaste indietro. “Ciò non cambierà nei prossimi anni, periodo in cui ci aspettiamo che la crescita complessiva della regione nordica passi dall’1,3% di quest’anno al 2% nel 2016” spiega un report firmato da Helge J. Pedersen, capo economista di Nordea. “In Svezia l’inflazione è rimasta estremamente bassa, tanto che la Riksbank ha tagliato in maniera aggressiva i tassi al minimo storico dello 0%. La crescita del credito resta forte e un brusco aumento dei prezzi delle case potrebbe minacciare la stabilità finanziaria. Si cerca di mitigare questi rischi attraverso misure prudenti a livello macro”. Le previsioni per l’economia norvegese, invece, dipenderanno molto dall’andamento del prezzo del petrolio. “La decisione dell’Opec di non ridurre le quote di produzione comporta che l’incertezza sulla crescita nel 2015 e nel 2016 sia maggiore di quanto preventivamente supposto”, dice Pedersen. “Ci aspettiamo, tuttavia, che un possibile brusco peggioramento della congiuntura possa essere mitigato da politiche fiscali significativamente accomodanti. Cinque trimestri consecutivi di crescita indicano che la Danimarca ha buone probabilità di uscire dalla crisi grazie alle migliori condizioni del mercato del lavoro e a un mercato immobiliare più stabile. La Finlandia, per contro, è ancora bloccata in una fase di recessione. Il rallentamento della Russia ha colpito l’economia del paese più duramente rispetto agli altri paesi del nord e, alla luce di seri problemi strutturali contro cui la Finlandia continua a lottare, vediamo il rischio di nuove delusioni legate alla crescita”.

Cina ed emergenti
“La Cina procederà coerente nel processo di redistribuzione delle risorse verso una economia più stabile e solida. Tale processo comporterà una riduzione della crescita economica, ma il rallentamento è sano e volontariamente guidato dal governo per contenere la domanda di credito e ridurre il rischio di bolla speculativa”, spiega Monica Defend, responsabile della ricerca sull’asset allocation globale di Pioneer Investments. “I progressi, fino ad oggi, sembrano incoraggianti. Il miglioramento nell’allocazione delle risorse dovrebbe spingere i consumi domestici a compensare il calo degli investimenti in infrastrutture. La politica monetaria è relativamente cauta, la Cina ha iniziato un progressivo indebitamento. Non pensiamo che sia ancora a livelli preoccupanti. Riteniamo inoltre che il governo cinese possa godere dell’esperienza fatta dai paesi sviluppati in materia di ciclo del debito, e sia in grado di prendere le necessarie contromisure qualora la situazione dovesse rivelarsi potenzialmente destabilizzante”.

I mercati emergenti nel loro complesso, intanto, vivranno ancora la fase di transizione nella costituzione di modelli di crescita economica bilanciata. “Le sfide avvengono a livello di singolo paese e si compiono principalmente sul piano della credibilità e implementazione delle riforme e della stabilità istituzionale e politica”, continua Defend. “È sulla base di questa chiave di lettura che procediamo all'analisi delle opportunità di aree così eterogenee. In base a questi criteri Cina e India emergono come campioni a fronte di altri paesi con dinamiche più destabilizzanti come Russia, Ucraina o Brasile”.

Giappone
Il Sol levante, intanto, dopo le elezioni anticipate riparte da Shinzo Abe. Con la schiacciante maggioranza riconfermata alla Camera Bassa, il premier giapponese si è conquistato ampi margini di manovra per affrontare la questione economica spingendo sulla Abenomics: un mix tra allentamento monetario, pacchetto di incentivi fiscali e riforme strutturali, impantanatasi con il varo ad aprile del rialzo della tassa sui consumi (dal 5% all’8%) che ha abbattuto i consumi e spinto il paese in recessione. Il proposito è sollecitare le imprese ad aumentare i salari per sostenere i consumi e riattivare un circolo virtuoso prima dell'altro aumento dell’Iva al 10%, rinviato ad aprile 2017. Chi si muoverà sul Giappone, comunque, avrà a che fare con una situazione fatta di luci e ombre. “I mercati azionari hanno evidenziato performance robuste ultimamente giacché le società beneficiano dell'indebolimento dello yen e dell'apprezzamento del dollaro”, spiega una nota di Mark Burgess, responsabile degli investimenti di Threadneedle Investments.

 

 

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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