Il male minore

Sul debito sovrano suonano nuovi campanelli d’allarme. E tra i gestori c’è chi sdrammatizza, chi fa dei distinguo e chi vede nero all’orizzonte.

Sara Silano 10/06/2010 | 09:35
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Mark Mobius, il guru sui mercati emergenti di Franklin Templeton, ha detto che l’Ungheria non è la Grecia, perché i numeri sono “piuttosto differenti”. Soprattutto, il rapporto tra debito e Prodotto interno lordo è dell’80% contro il 133% del Paese ellenico. Un altro veterano, il “re dei bond”, Bill Gross (Pimco) ha scritto nel suo ultimo report (e non per la prima volta), che non solo la Grecia e i Paesi dell’Europa meridionale devono ricorrere a drastici tagli della spesa pubblica e a misure fiscali impopolari per sanare i conti, ma che il campanello di allarme sta suonando anche per Francia, Regno Unito, Giappone e Stati Uniti.

Ancora, Ad Van Tiggelen, senior investment specialist di Ing Investment management, paragona l’Europa al Giappone, perché l’invecchiamento della popolazione sta diventando realtà anche nel Vecchio continente con il rischio che si generi deflazione, ossia inflazione senza crescita. E Stewart Cowley, gestore di Old Mutual asset managers, ribalta la prospettiva, sostenendo che lo yen è destinato a diventare la moneta rifugio al posto del dollaro, che rischia di rimanere schiacciato sotto i piani di stimolo dell’amministrazione Obama. Il fund manager è anche molto duro sull’Italia, considerata la vera minaccia per l’euro.

Bond in acque tempestose
Insomma, ce n’è abbastanza per non dormire sonni tranquilli, considerato il sentiment negativo che circonda la divisa comunitaria e l’Europa. In particolare, guardando il mercato obbligazionario, la situazione è poco rosea. I rendimenti (in termine tecnico, yield), che rappresentano storicamente una buona approssimazione dei ritorni futuri, sono a livelli molto bassi e se i tassi dovessero salire, cosa abbastanza probabile negli Stati Uniti, i prezzi potrebbero crollare.

La tentazione di fuggire dal reddito fisso potrebbe essere molta (in realtà gli ultimi dati di Assogestioni, indicano una raccolta positiva per i fondi obbligazionari, che però è concentrata su prodotti che mirano al ritorno assoluto). Questa scelta, però, potrebbe rivelarsi un grave errore, perché dal portafoglio verrebbe a mancare un’importante fonte di diversificazione. Inoltre, la serie storica dell’indice globale sui bond, Citi WGBI (in euro) mostra un rendimento medio annuo del 3,65% nell’ultimo decennio, che si confronta con un -3% dell’Msci mondiale. Anche se il futuro fosse meno benevolo, diversi studi dimostrano che le perdite sarebbero comunque più contenute di quelle che si avrebbero in caso di crollo azionario.

Strategie obbligazionarie
Nonostante le turbolenze degli ultimi mesi, il mercato obbligazionario continua ad essere discretamente efficiente; di conseguenza i prezzi inglobano una moltitudine di fattori economici e di aspettative sui tassi di interesse, comprese le difficoltà dell’Europa. Nessuno ha la ricetta magica per far fronte a questa situazione, ma può essere utile dare uno sguardo alle strategie dei veterani del reddito fisso.

Miriam Sjoblom, analista sui fondi di Morningstar, ha individuato due filoni principali. Il primo è quello dei gestori che, come Bill Gross, sono preoccupati per la ripresa economica e l’eccessivo debito sovrano, i quali hanno ridotto la loro esposizione al rischio di credito e quindi ai corporate bond, in favore del rischio-tassi, privilegiando i titoli di Stato di miglior qualità, come ad esempio quelli tedeschi. Altri, invece, sono più ottimisti sulla ripresa e temono il rischio legato al rialzo dei saggi di riferimento. Di conseguenza, preferiscono esporsi sul fronte del merito di credito, nonostante il settore sia già cresciuto molto nel 2009, un anno eccezionale per i corporate bond. La loro convinzione è che i differenziali (spread) si ridurranno, grazie al miglioramento dei fondamentali societari e alla diminuzione del numero di fallimenti.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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