Pensioni, obiettivo 70 per cento

Secondo uno studio Inps, le pensioni dei giovani potrebbero raggiungere la “quota salvezza” del 70% dell’ultima retribuzione, se si lavorerà di più.

Valerio Baselli 25/10/2011 | 11:36
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La buona notizia è che l’assegno Inps per i giovani di oggi potrebbe non essere così magro come si pensava. La cattiva notizia è che il presupposto è aumentare l’età pensionabile. A dirlo è uno studio Inps presentato nelle scorse settimane. In sostanza, grazie al sistema contributivo e all’aumento dell’età lavorativa, la pensione di chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 può arrivare al 70% per i lavoratori dipendenti e al 53% per i para-subordinati. Non si parla certo di percentuali altissime, ma comunque migliori di quelle prospettate negli ultimi anni.

Nel dettaglio
In sostanza, secondo l’analisi, un soggetto di 24 anni che ha iniziato a lavorare nel 2011 e che andrà in pensione nel 2046 con 35 anni di contributi a 69 anni di età, raggiungerebbe il 70% dell’ultima retribuzione, più, ovviamente il Tfr maturato. Nel caso di un lavoratore autonomo, la percentuale scenderebbe al 53%, ma questa categoria versa all’Inps il 20% delle retribuzione, mentre i lavoratori dipendenti il 33%.

Anche nel caso di un lavoratore precario, i numeri sono migliori di quelli che ci si potrebbero aspettare. Simulando infatti una carriera composta da 10 anni in nero, 6 da parasubordinato e 22 da dipendente, si arriverebbe al 59% dell’ultima retribuzione.

Scelte politiche
La situazione che si delinea sembra andare in questa direzione a causa di tre fattori: finestra mobile (la pensione decorre 12-18 mesi dopo aver raggiunto i requisiti), l’adeguamento automatico ogni tre anni dell’età pensionabile alla speranza di vita e l’aumento dell’età necessaria per la pensione di vecchiaia. Sull’ultimo punto si è espresso il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, il quale a Bruxelles ha dichiarato alla stampa che metterà mano alle pensioni, portando l’età pensionabile a 67 anni. Il premier ha poi aggiunto che dovrà però discuterne con l’alleato e leader della Lega Nord, Umberto Bossi, da sempre molto restio a cambiare in campo previdenziale.

Non solo un problema da giovani
Quando si parla di riforme previdenziali si tiene, giustamente, conto del futuro dei giovani. Tuttavia, in questo dibattito viene quasi sempre escluso il problema della disoccupazione dei “non più giovani”, ovvero quei lavoratori tra i 45 e i 60 anni che hanno perso il lavoro a causa della crisi e che non hanno ancora raggiunto i requisiti per andare in pensione.

“La verità è che questo è un problema che riguarda il malfunzionamento del mercato del lavoro, non del sistema previdenziale”, commenta commenta Vincenzo Galasso, professore ordinario di Economia Pubblica presso l’Università della Svizzera Italiana. “La disoccupazione per i lavoratori anziani è sicuramente un fenomeno problematico, ma l’esperienza di paesi con sistemi previdenziali di incentivi per lavorare di più non sembra mostrare che questi fenomeni siano legati al sistema pensionistico. Probabilmente, l’aspetto critico potrebbe essere la determinazione dei salari in base all’anzianità, che spesso conduce a situazioni in cui i lavoratori più anziani, non sempre produttivi, hanno salari ‘elevati’, almeno rispetto ai colleghi più giovani, e dunque sono meno appetibili per le imprese”.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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