
Punti-chiave
- In Italia, l’inflazione ha rallentato all’1,6% a maggio, rispetto al +1,9% di aprile.
- I rischi geopolitici, inclusi i conflitti in corso, e i dazi possono causare nuove fiammate inflazionistiche.
- L’analisi degli ultimi 25 anni mostra che i soldi lasciati sul conto corrente perdono valore a causa dell’inflazione, mentre l’investimento azionario o obbligazionario può aiutare a salvaguardare il potere di acquisto.
L’inflazione è scesa all’1,9% annuo nell’eurozona a maggio, ossia sotto il livello target del 2% della Banca Centrale Europea. Anche in Italia, c’è stata una decelerazione dell’indice dei prezzi al consumo (NIC) all’1,6% su base annua nel mese scorso, dal +1,9% di aprile, secondo l’Istat.
Siamo lontani dai picchi toccati a fine 2022, quando il carovita aveva sfiorato il 12% in Italia ed era salito oltre il 10% nell’eurozona. Dunque, l’inflazione non è più un problema per i nostri risparmi?
L’inflazione rallenta in Italia e nell’eurozona
Le stime della BCE per i prezzi nell’eurozona nel 2025 sono state recentemente riviste al ribasso al 2% dal 2,3% di marzo. Per gli anni successivi, la banca centrale prevede l’1,6% nel 2026 e il 2% nel 2027. Si tratta di livelli inferiori o in linea con l’obiettivo di politica monetaria dell’istituto di Francoforte.
Per quanto riguarda l’Italia, l’Istat si attende “una dinamica più moderata dell’inflazione, favorita dalla discesa dei listini dei beni energetici e dall’indebolirsi delle prospettive di domanda”, si legge nelle “Prospettive per l’economia italiana nel 2025 e 2026”, pubblicate il 6 giugno. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti, indicatore della variazione dei prezzi di un insieme di beni e servizi consumati dalle famiglie, è stimato in crescita dell’1,8% quest’anno e dell’1,6% l’anno prossimo, contro il +5% di due anni fa.
E se l’inflazione fosse ancora un problema per i nostri risparmi?
Tuttavia, gli eventi turbolenti degli ultimi cinque anni, tra cui la pandemia, l’invasione russa in Ucraina e i dazi imposti o minacciati dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e nei giorni scorsi il conflitto tra Israele e Iran, possono causare fiammate inattese dell’inflazione, per cui considerarla come un problema superato può essere rischioso per i nostri risparmi e investimenti.
Un’analisi sulle serie storiche dell’Istat, condotta da Moneyfarm, ha calcolato che di qui al 2050 i prezzi potrebbero crescere di oltre la metà rispetto a quelli del 2024. Per lo studio è stata considerata la media dell’inflazione degli ultimi 25 anni, calcolata sulla base del FOI, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, esclusi i tabacchi. Questa misura viene solitamente usata per i contratti che prevedono una rivalutazione monetaria, come quelli di affitto, perché – rispetto ad altri indici - è soggetta a minori revisioni metodologiche ed è quindi meno volatile.
Un caffè nel 2050 costerà quasi 2 euro
“Considerando che negli ultimi 25 anni l’inflazione media si è attestata intorno all’1,9% e che questo valore è sostanzialmente sovrapponibile al target del 2% stabilito dalla BCE, attraverso la capitalizzazione composta risulterebbe un aumento complessivo del costo della vita del 64%”, spiega Davide Cominardi, investment consultant manager di Moneyfarm. Il risultato è peggiore se si prende come riferimento l’inflazione media dal 1948 ad oggi, pari al +5,2% su base annua: in questo caso, nel 2050 il carovita toccherebbe il +255% rispetto al 2024.
Per fare un esempio concreto, un caffè al bar, che oggi costa 1,20 euro, verrebbe a costare tra 1,97 e 4,26 euro nel 2050 a secondo se si considera lo scenario base o quello peggiore. Nel primo caso, la spesa media di una famiglia italiana passerebbe dagli attuali 2.128 euro (dati Istat relativi al 2023) a 3.491 euro al mese, con un incremento complessivo di 16.356 euro all’anno. Nel secondo, arriverebbe a sfiorare i 7.560 euro, con un aumento di oltre 65.000 euro su base annua.
L’inflazione fa evaporare i soldi dal conto corrente
Il rischio di inflazione, dunque, non si può eliminare del tutto, neppure quando il carovita ci impensierisce di meno, come in questi ultimi mesi. Tuttavia, si può gestire e alleviare decidendo di investire i risparmi, anziché lasciarli su conti correnti non remunerati.
Secondo i dati Istat, gli italiani riescono a mettere da parte circa il 9% delle proprie entrate. Considerando una retribuzione lorda di 37.302 euro annui per lavoratore, pari a circa 2.000 euro netti per tredici mensilità, si traduce in 2.340 euro risparmiati ogni anno. L’analisi di Moneyfarm ha calcolato che se questi risparmi venissero lasciati sul conto corrente, che generalmente non è remunerato, si ridurrebbero a causa dell’azione erosiva dell’inflazione. Se nel 2000 avessimo depositato 2.340 euro in banca per 25 anni, oggi ci ritroveremmo con circa 1.450 euro in termini di potere d’acquisto, con una perdita netta del 38%.
Quali alternative per mettere i nostri risparmi al riparo dall’inflazione?
Sempre nei calcoli di Moneyfarm, se la stessa cifra fosse stata investita nello stesso periodo in obbligazioni governative in euro, si sarebbe compensata l’inflazione e si sarebbe ottenuto un ulteriore guadagno del 9%, prendendo come riferimento l’indice FTSE EMU government bond. Infine, l’investimento sui mercati azionari globali (indice MSCI World), oltre al recupero dell’inflazione avrebbe più che raddoppiato il potere di acquisto (+106%).
Abbiamo esemplificato l’andamento dei titoli di Stato in euro e del mercato azionario mondiale negli ultimi 25 anni nel grafico qui sotto, utilizzando gli indici Morningstar. Il Morningstar Eurozone Treasury Bond Index misura la performance dei titoli di Stato investment grade a tasso fisso in valuta comunitaria con scadenza superiore all’anno. Il Morningstar Global Markets Index, invece, è rappresentativo del 97% della capitalizzazione dell’equity globale.
Le obbligazioni inflation-linked
Ricordiamo, infine, che ci sono obbligazioni che sono indicizzate all’inflazione, come il BTP Italia collocato a fine maggio dal governo italiano, che sono pensati per proteggere gli investimenti dal carovita e prevedono una rivalutazione del capitale e delle cedole in base all’andamento dell’indice dei prezzi. Come tutti gli strumenti finanziari, hanno dei pro e dei contro, che abbiamo spiegato in questo articolo.
“Le obbligazioni indicizzate tendono a non fornire protezione nelle fasi recessive in quanto il timore di deflazione spinge gli investitori a preferire obbligazioni tradizionali”, spiega Nicolò Bragazza, associate porfolio manager di Morningstar Investment Management. “Perciò, pur rimanendo uno strumento molto utile per gli investitori, è necessario conoscerne le caratteristiche per usufruirne al meglio all’interno di un portafoglio diversificato”.
Il rischio di sottovalutare l’inflazione
Un recente sondaggio, condotto – tra febbraio e marzo - da Natixis Investment Management su oltre 7 mila investitori individuali di tutto il mondo con un patrimonio investibile superiore a 100 mila dollari, ha rivelato che i due terzi afferma di riuscire a risparmiare meno a causa dell’aumento dei prezzi quotidiani e il 59% ritiene che l’inflazione abbia eroso i propri guadagni. Di conseguenza, il 38% sostiene di avere più difficoltà a raggiungere i propri obiettivi finanziari a lungo termine e questo vale soprattutto per gli investitori che si collocano nella fascia più bassa dello spettro patrimoniale.
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