Quali sono le previsioni di Morningstar per le Borse europee nel 2025?
Christopher Johnson - 08/07/2025 | 15:26
Michael Field di Morningstar ritiene che proseguirà il deflusso di capitali dall’equity USA a favore degli asset europei.

 

 

Christopher Johnson: I titoli azionari europei e britannici hanno sovraperformato l’equity USA e alcuni gestori giustificano questo risultato con il deflusso di capitali dall’equity USA a favore degli asset del Vecchio continente. Quali sono le prospettive per la seconda metà dell’anno? Per discutere di questo e di altro, mi ha raggiunto Mike Field, chief equity market strategist EMEA di Morningstar. Allora, Mike, quali sono le tue previsioni per le azioni europee e britanniche nella seconda metà dell’anno?

Quali sono le previsioni di Morningstar per i titoli europei?

Michael Field: Nel complesso direi che la situazione è piuttosto eterogenea, ma tendenzialmente positiva, Christopher. Da un lato, i mercati europei stanno toccando i massimi storici, il che è un segnale positivo per i mercati in generale. Ma c’è anche la questione delle valutazioni. Fortunatamente vediamo ancora un certo margine di rialzo per i mercati europei. Riteniamo che i titoli azionari europei siano scambiati con uno sconto del 5% circa, leggermente superiore a quello delle azioni britanniche. Questo ci dà un po’ di margine di crescita nel secondo semestre, nel caso in cui l’outlook rimanga positivo e la stagione delle trimestrali europee mantenga le promesse. C’è ancora un po’ di spazio per la crescita, il che è positivo.

Cosa aspettarsi dalle banche centrali?

Johnson: Credi che i tagli dei tassi nel Regno Unito e in Europa siano inevitabili nella seconda metà di quest’anno?

Field: Penso che ci siano due scenari diversi. Ci sono due aree diverse, se vogliamo. Parliamo del Regno Unito e dell’Europa come se fossero un tutt’uno, ma quando si parla di tassi di interesse, al momento c’è un enorme differenziale tra le due regioni. In termini di aspettative, entrambi potrebbero vedere una riduzione dei tassi di interesse, senza dubbio. Ma credo che in Europa la differenza sia data dal fatto che la BCE si trovi al punto in cui vorrebbe essere, ovvero a quel tasso di interesse neutrale che mantiene l’inflazione intorno al 2%. Nel Regno Unito, hanno ancora un ampio margine di manovra in termini di tagli. Nei prossimi sei-nove mesi, quindi, la Bank of England dovrebbe procedere con tagli più decisi e più rapidi rispetto a quelli della BCE, che ha già fatto gran parte del lavoro, se così si può dire.

L’eccezionalismo statunitense è finito?

Johnson: Nella mia introduzione ho parlato della rotazione degli asset statunitensi. Molti gestori di fondi sostengono che l’eccezionalismo statunitense sia finito. Sei d’accordo? E ritiene che questa rotazione continuerà anche nella seconda metà dell’anno?

Field: La risposta è: in una certa misura. Credo che negli ultimi mesi gli investitori si siano resi conto che puntare tutto su un unico paniere, quello degli Stati Uniti, può essere un po’ sciocco o può portare a una forte volatilità, come abbiamo visto con i dazi annunciati lo scorso 4 aprile. Credo che questo sia stato il catalizzatore che ha spinto molti investitori a spostare più liquidità in Europa e a riconoscere che sì, ha più senso diversificare e avere una certa esposizione all’Europa. Così, improvvisamente, questa strategia ha dato i suoi frutti. E credo che gli investitori lo terranno ben presente nel secondo semestre.

Questo non significa che ignoreranno gli Stati Uniti - che sono ancora il più grande mercato azionario del mondo - e quindi continueranno a registrare afflussi di capitali. Ma credo che l’Europa sia sicuramente un’opzione per molti investitori, mentre prima non lo era. In termini di eccezionalismo degli Stati Uniti, non possiamo sostituire i Magnifici Sette in Europa. Non abbiamo nulla di simile. Quindi, credo che in una certa misura si possa assistere a una sovraperformance nel settore tecnologico statunitense, o che il potenziale di crescita nel settore tecnologico statunitense sia ancora presente. Ma forse una differenza è rappresentata da ciò che sta guidando le due economie. Negli Stati Uniti c’è stata la Bidenomics e il debito a guidate i mercati. E forse quello che si vede ora è l’effetto dei dazi che forse limitano un po’ l’economia statunitense. Quindi, dal punto di vista della crescita, gli Stati Uniti possono crescere allo stesso ritmo con cui sono cresciuti nell’ultimo decennio o giù di lì? Questa visione dell’eccezionalismo statunitense potrebbe cambiare nei prossimi mesi.

L’Europa sta cavalcando l’onda dell’IA?

Johnson: Qual è la tua opinione sul modo in cui le aziende europee e britanniche stanno gestendo l’IA? Hai detto che siamo molto indietro rispetto ai Magnifici Sette. Ma stai vedendo qualche innovazione? Come è evidente, l’IA sta effettivamente conquistando il mondo.

Field: Considererei la crescita dell’IA come un fenomeno più globale. Sì, tu hai citato le Mag Seven - che ovviamente sono all’avanguardia nella spesa e nello sviluppo sul fronte dell’IA - ma c’è tutta una serie di aziende alle loro spalle. Abbiamo assistito a un gran numero di call di presentazione dei dati trimestrali in cui le aziende dicevano: “Sì, stiamo integrando l’IA nei nostri processi”. Ma credo che molte di queste aziende stiano scoprendo che forse sono state troppo precoci nell’adozione delle tecnologie IA e che i ritorni che speravano di ottenere da queste tecnologie non ci sono ancora. Certo, arriveranno in futuro. Ma credo che gli usi dell’IA nella vita quotidiana e nelle operazioni e processi quotidiani delle aziende siano stati sopravvalutati a questo punto. Quindi, si potrebbe assistere a una spesa continua da parte di aziende come le Mag Seven per lo sviluppo dell’IA, ma a una visione un po’ più scettica da parte delle aziende che svolgono attività quotidiane, poiché si rendono conto che l’IA non è ancora al punto giusto per rivoluzionare le loro attività.

L’Europa beneficerà dell’aumento della spesa per le infrastrutture?

Johnson: Infine, Mike, mi interessa il tuo punto di vista sulla spesa per le infrastrutture. Nella prima metà dell’anno abbiamo assistito a un enorme blackout in Spagna. Abbiamo assistito a discussioni sulla riforma del freno al debito della Germania, che sbloccherà molti soldi da investire in infrastrutture in diversi progetti in Germania e in tutta Europa. Cosa succederà quindi nella seconda metà dell’anno per quanto riguarda le infrastrutture? E quali aziende ritieni che in Europa beneficeranno dell’aumento della spesa?

Field: Siamo entusiasti dell’Infrastructure Defense Fund tedesco. Guardate l’entità del progetto. Se si considera la Bidenomics e il modo in cui l’Inflation Reduction Act è riuscito a stimolare l’economia statunitense, il progetto di legge tedesco ha il potenziale per stimolare in misura enorme l’economia tedesca e, di conseguenza, anche l’economia europea in senso lato. Siamo abbastanza integrati quando si tratta di infrastrutture. Le aziende che sono centrali in Europa in termini di infrastrutture - data center, energie rinnovabili, cose del genere - non sono solo aziende nazionali, ma anche aziende paneuropee in termini di asset. Pertanto, credo che la speranza sia che la spesa per le infrastrutture possa essere estesa in lungo e in largo.

E in effetti hai citato i blackout spagnoli. In ultima analisi, quello è stato un enorme campanello d’allarme per i governi, certamente, ma anche per le utility, in termini di quanto devono spendere nel prossimo decennio per aggiornare elementi come la rete. Siamo passati da una quantità minima di energia rinnovabile a un punto in cui, in molti Paesi, essa è oggi piuttosto significativa, e le reti elettriche non si sono ancora messe al passo. Sono ancora orientate all’uso di energia vecchio stile, non ai livelli di energia rinnovabile volatile che stiamo generando oggi. Ora hanno davvero bisogno di aggiornarsi, e le aziende e i governi devono spendere molto per questo. Penso quindi che ci sia la speranza che questo possa costituire la spina dorsale della crescita europea nel decennio a venire.

Johnson: Grazie Mike. Sono Christopher Johnson di Morningstar UK.


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