Costi dei fondi, perché inventare nomi fantasiosi, quando si può essere trasparenti?

In Italia, i risparmiatori pagano ancora troppo e l’informativa da parte degli intermediari è spesso lacunosa, nonostante Mifid II. Eppure, la chiarezza può trasformarsi in opportunità. Ecco come.

Sara Silano 14/11/2019 | 00:37
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Costi dei fondi e trasparenza

L’acquazzone che si è abbattuto sulla Morningstar investment conference (MIC) lo scorso 6 novembre potrebbe non essere stato solo meteorologico. L’industria degli investimenti avrà nei prossimi anni più venti contrari che favorevoli, per dirla con le parole di Greggory Warren, Sector strategist di Morningstar e grande conoscitore dei principali asset manager globali, primi fra tutti BlackRock e Vanguard. E se pensiamo che siano i soliti discorsi sui massimi sistemi e che l'Italia sia al riparo perché in fondo neanche Mifid II è riuscita a portare un’adeguata trasparenza sui costi dei prodotti finanziari o a far decollare modelli di consulenza indipendente come in altri paesi europei oppure ancora perché la cultura dei risparmiatori è bassa, forse dovremmo cominciare ad aprire gli occhi.

I costi nascosti
L’Italia è all’ultimo posto tra i principali mercati mondiali per l’esperienza degli investitori in fondi, con riferimento alle pratiche commissionali. E’ addirittura peggiorata rispetto a due anni fa, secondo il rapporto Global investor experience, mentre l’India, che condivideva un giudizio scarso, è migliorata, grazie a una normativa favorevole ai risparmiatori, che prevede, tra l’altro, il divieto di fee di sottoscrizione e un tetto agli oneri a carico dei sottoscrittori. Come ha detto Davide Pelusi, amministratore delegato di Morningstar per il sud Europa in apertura della MIC, occorre che “venga posta maggiore attenzione al tema dei ‘costi nascosti’, perché anche se le commissioni per le gestioni patrimoniali stanno diminuendo, la spesa totale per gli investitori finali resta ostinatamente alta, poiché resistono voci poco conosciute talvolta inserite in categorie fantasiose come, ad esempio, le cosiddette ‘commissioni di piattaforma’”.

Informativa bocciata
D’altra parte la ricerca condotta da School of Management del Politecnico di Milano e Moneyfarm sull’informativa ex-post a consuntivo del 2018 (obbligatoria per legge), che ha coinvolto 18 dei principali intermediari italiani ed è stata pubblicata a inizio novembre, rivela che nella maggior parte dei casi non sono state recepite del tutto le indicazioni dell’Esma (autorità europea di vigilanza sui mercati) e delle associazioni di categoria e solo il 28% dei documenti riporta informazioni esclusivamente sui costi come prescritto dalla normativa. Il 56% non ha utilizzato questa parola-chiave nell’intestazione e il 94% ha usato termini di non immediata comprensione come inducement per comunicare “i pagamenti ricevuti da terze parti”.

Trasparenza come opportunità
Chi avesse aperto l’ombrello per mettersi al riparo, ora può chiuderlo. Perché la trasparenza può essere un’opportunità; oltre che una responsabilità dell’industria del risparmio. Bisogna però essere attrezzati e saper leggere le dinamiche del settore. Innanzitutto, i capitali degli investitori continuano a muoversi verso fondi ed Etf (Exchange traded fund) a basso costo. Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, il tasso di crescita dei fondi indicizzati (quotati e non) supera quello delle strategie attive. Rispetto all’anno scorso, la quota di mercato dei passivi sul totale è salita dal 16,7 al 18,5% (a settembre 2019).

Secondo Warren, il gap tra i costi dei fondi attivi e passivi continuerà a ridursi nel tempo. Ma i primi hanno una sfida in più: quella delle performance. Se confrontiamo l’operato dei gestori con un paniere di index fund, vediamo che i primi sono perdenti nella maggior parte dei casi. L’ultimo Morningstar Active/Passive Barometer rivela che nel decennio gli strumenti attivi hanno battuto i rivali solo in due su 66 categorie azionarie e obbligazionarie. I risultati sono particolarmente deludenti in segmenti con i patrimoni in gestione più ampi, come ad esempio quelli specializzati sui titoli a larga capitalizzazione.

Fattori vicenti
Ma la gestione attiva di qualità non ha le ore contate. “Pensiamo che le società che sapranno differenziarsi dai concorrenti, offrire soluzioni a basso costo attraverso strategie di investimento ripetibili, adattarsi ai nuovi scenari competitivi, mettendo il cliente al primo posto, avranno maggiori probabilità di successo”, spiega lo strategist di Morningstar. Altre opportunità derivano dai cambiamenti demografici, tra cui l’invecchiamento della popolazione e la crescita della classe media nelle regioni emergenti, ma anche da quelli economici e regolamentari verso modelli di sviluppo più sostenibili e rispettosi dell’ambiente. La tecnologia può diventare un potente alleato degli asset manager per ridurre i costi, migliorare le performance (si pensi all’uso dell’intelligenza artificiale o dei big data), e potenziare i canali distributivi.

Prima di evocare i “cigni neri”, dunque, riflettiamo. Come ha magistralmente spiegato alla MIC il professor Pasquale Cirillo di Delft University of Technology dei Paesi Bassi, “Se lo posso prevedere, non è un cigno nero”.

Guarda l'intervista al prof. Pasquale Cirillo (Delft University of Technology).

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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