La sostenibilità sta assumendo un ruolo centrale nell’industria del risparmio, ma operatori e investitori chiedono maggiore chiarezza su cosa sia o non sia ESG (acronimo che racchiude i fattori ambientali, sociali e di governance). Lo hanno detto a gran voce i circa 300 partecipanti alla Morningstar investment conference (MIC) lo scorso 6 novembre, rispondendo a un sondaggio live in cui si domandava che cosa significasse per loro sustainable investing. Il 62% ha invocato maggior nitidezza e trasparenza sul concetto, mentre il 38% sì è detto certo che fosse un trend ormai consolidato del settore.
Cosa serve (e non serve) all’industria
Sicuramente, per chi costruisce portafogli seguendo criteri ESG, ma anche per i risparmiatori che devono orientarsi in un’offerta in espansione (nei primi nove mesi dell’anno sono stati lanciati in Europa 252 prodotti di questo tipo) avere un quadro chiaro di cosa sia sostenibile è sempre più importante. Thierry Bogaty, responsabile sviluppo ESG e advocacy di Amundi, ha sottolineato, durante la MIC, l’urgenza di una regolamentazione europea che dissipi i dubbi. Attenzione, però alle etichette SRI (socialmente responsabili), dice: “Ce ne sono troppe e diverse”. Anche qui è necessaria una qualche forma di intervento per evitare di accrescere la confusione.
Quello che non serve allo sviluppo dell’industria è, invece, una regolamentazione prescrittiva e rigida che rischierebbe di comprometterne la crescita e di trasformarsi in ciò che Masja Zandbergen a capo del team di Sustainability integration di Robeco, definisce un box ticking, ossia un mero esercizio in cui si barrano delle caselle di un modulo per dimostrare di essere ESG. “Non si tratta semplicemente di ottenere un punteggio”, ha spiegato alla MIC, “è necessario integrare la sostenibilità nel processo di investimento”.
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