Avanti piano con l’azionario Usa

Le indicazioni che arrivano dagli Stati Uniti parlano di una corsa eccessiva dell’equity. Questo può creare problemi anche a chi investe con un orizzonte globale. 

Marco Caprotti 08/09/2016 | 11:57
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C’è da avere paura dell’equity? Il dubbio è lecito. Soprattutto dopo sette anni di miglioramenti macro che sembrano aver spinto i prezzi dell’azionario verso valutazioni insostenibili. Il problema sembra particolarmente evidente per gli Stati Uniti. “In quella regione, dai tempi della crisi dei subprime, l’economia è cresciuta del 28,6%, mentre il mercato azionario è salito del 196,5%”, spiega Dan Kemp, responsabile investimento per l’area EMEA di Morningstar investment management. “Sono numeri difficilmente replicabili da adesso in poi”.

Va detto che corse come queste hanno potuto godere di un mix di carburanti eccezionale: deboli valutazioni iniziali, crescita degli utili aziendali (soprattutto in rapporto allo stato della congiuntura), bassi tassi di interesse, interventi della Federal Reserve e calo progressivo della disoccupazione. “Il problema ora è che gli investitori si sono abituati a questi elementi e li considerano normali. Ad esempio festeggiano ogni volta che la Fed dimostra cautela sul rialzo dei tassi”, spiega Kemp. “Molti però non capiscono che, quando la Banca centrale assume questo atteggiamento, lo fa perché le prospettive dell’economia sono preoccupanti”.

Dagli Usa al resto del mondo
Dal punto di vista operativo, questa situazione crea problemi. E non soltanto a chi investe negli asset americani. Secondo i calcoli di Kemp, ad esempio, l’equity Usa rappresenta circa il 60% dell’azionario presente nelle categorie Morningstar che raccolgono i fondi destinati all’investimento globale (large cap con i diversi segmenti blend, growth, value e small cap). In questo senso i massimi (dal 1999) ritoccati, anche nei giorni scorsi, dal Nasdaq, dal Dow Jones e dall’S&P500 non aiutano.

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“Nell’ottica della costruzione di un portafoglio, tutto questo significa che sottopesare gli Usa limita molto l’universo degli asset disponibili a chi ha un orizzonte geografico globale”, spiega Kemp. Cosa è meglio fare in questo scenario? Conviene ancora andare a caccia dei vincitori di ieri? “Una strategia potrebbe essere quella di orientarsi su investimenti passivi, tenendo a mente che c’è il rischio di doversi accontentare di rendimenti mediocri”, risponde Kemp. “In generale vale il vecchio detto della Borsa secondo cui se gli Stati Uniti starnutiscono, il resto del mondo prende l’influenza. Va tenuto a mente nelle prossime operazioni di costruzione del portafoglio. Secondo noi ci sono le basi che giustificano una performance deludente degli Usa nei prossimi mesi. Per questo consigliamo prudenza agli investitori”.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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