Perché gli emerging devono stare in campana

La frenata della Cina per ora non ha pesato più di tanto sui portafogli dedicati ai paesi in via di sviluppo. Ma la situazione potrebbe cambiare se…

Marco Caprotti 15/10/2015 | 10:03
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Gli emergenti farebbero bene a stare attenti alla Cina. E con loro dovrebbero stare sul chi va là gli investitori che operano sulle aree in via di sviluppo. I numeri dicono che il rallentamento della seconda economia mondiale non ha ancora pesato come avrebbe potuto sui portafogli emerging. I fondi venduti in Italia specializzati su questa asset class nell’ultimo mese hanno guadagnato il 5,81%. Nello stesso periodo l’indice Msci EM (in euro) è salito di quasi il 5%.

Indice Msci Emerging Markets da inizio anno

Msci emerging

Il grafico è costruito ipotizzando un investimento di 10mila euro effettuato a inizio gennaio
Fonte: Morningstar Direct.

Ma, nel medio periodo, l’effetto zavorra da parte della Cina potrebbe essere inevitabile se si considera che, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, un rallentamento della congiuntura del Dragone pari a un punto percentuale si tradurre in un declino dello 0,3% in altri paesi asiatici. I dati macro che arrivano da Pechino dovrebbero rappresentare, usando le parole dell’Fmi, “una fonte di preoccupazione”.

Ultime da Pechino
Le ultime notizie dicono che, a settembre, secondo l'ufficio cinese di statistica, i prezzi sono cresciuti dell'1,6% rispetto allo stesso mese del 2014, meno del +2,0% registrato ad agosto e sotto le attese del mercato che stimavano un +1,8%. Su base mensile, l'inflazione è stata pari allo 0,1%. Le importazioni, intanto, sono scese del 17,7% il mese scorso rispetto allo stesso periodo di un anno prima. A dirlo sono state le Dogane di Pechino precisando che, in termini di valore, le importazioni sono diminuite a 924 miliardi di yuan (circa 128 miliardi di euro). Le esportazioni sono diminuite dell'1,1% a 1.300 miliardi di yuan (180 miliardi di euro). Questo ha determinato una crescita del surplus commerciale che è quasi raddoppiato a 376,2 miliardi di yuan. In dollari le esportazioni sono scese del 3,7% in settembre e le importazioni del 20,4% portando il surplus a 60,3 miliardi di dollari. Alla base delle preoccupazioni che dovrebbero avere gli altri emergenti guardando alla Cina,  c’è il rischio contagio. Un pericolo che, secondo il Fondo, “è stato amplificato da forze che vanno al di là dei confini cinesi” e che potrebbero mettere sotto pressione le nazioni asiatiche vicine al Regno di mezzo. Tra le forze citate dall'istituto di Washington ci sono prezzi in calo delle materie prime e la prospettiva di un rialzo dei tassi di interesse in Usa.

La crescente importanza della Cina negli equilibri finanziari ed economici globali (e non solo per gli emerging) è dimostrato anche dalla sua divisa. Secondo l’organizzazione delle transazioni internazionali SWIFT, infatti, lo yuan (o renminbi) ha superato lo yen giapponese nelle operazioni finanziarie internazionali e si piazza al quarto posto tra le monete più usate nel mondo. La quota del renminbi nelle operazioni di pagamento nel mondo è aumentata ad agosto al 2,79% in valore contro il 2,76% dello yen. In tre anni, secondo SWIFT, lo yuan ha superato sette monete, occupando nel 2012 il settimo posto. Ad agosto il dollaro occupava il primo posto (al 44,82%), seguito dall'euro (27,2%) e dalla sterlina (8,45%).

Frenata in vista?

Per il momento, comunque, niente paura. Il Fondo monetario internazionale ha lasciato invariate le sue stime di crescita per la Cina. Stando alle tabelle del World Economic Outlook (Weo), il rapporto sull'economia globale redatto dal Fondo nell'ambito degli Annual Meetings, la secondo economia al mondo quest'anno dovrebbe espandersi del 6,8% e il prossimo del 6,3%, esattamente quanto calcolato nell'aggiornamento del Weo dello scorso luglio e nell'edizione del rapporto dello scorso aprile. I due dati si confrontano con un Pil cresciuto del 7,3% nel 2014. Il Fondo fa notare che un ulteriore rallentamento moderato di Pechino è dato per scontato, ma se la gestione macroeconomica della fine del boom degli investimenti e del credito osservato tra il 2009 e il 2012 risultasse più difficile del previsto, aggiunge, ci sarebbero rischi di una frenata più decisa con effetti reali e finanziari.  

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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