Small cap con l'anima da blue chip

Anche l'indice dedicato alle Pmi americane ha fatto segnare buoni risultati. La performance è legata alla ripresa della regione, ma anche all'esposizione sui mercati esteri. Occhio al vantaggio competitivo. 

Marco Caprotti 04/12/2013 | 14:46
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Punti Chiave
-I record di S&P500 e Dow Jones hanno fatto passare in secondo piano la corsa delle small cap Usa.

-L’esposizione all’estero delle Pmi americane garantisce una buona diversificazione anche a livello geografico.

-I titoli sono adatti ai piccoli investitori

-Bisogna studiare il vantaggio competitivo

 

Le small cap americane provano a fare le blue chip. Prima di tutto in Borsa. Mentre gli indici S&P500 e Dow Jones conquistavano i titoli delle cronache finanziarie, il paniere Russell 2000 (dedicato alle Pmi quotate a Wall Street è riuscito a guadagnare, nei primi 10 mesi del 2013 il 31% circa).

Una performance che, secondo alcuni osservatori, è da attribuire all’esposizione che queste aziende hanno all’economia statunitense e alla sua ripresa, ma che è sempre più legata anche alla loro diversificazione geografica. Un elemento, questo, che le rende sempre più simili alle grandi multinazionali Usa.

Un piede in casa e uno fuori
Secondo uno studio di International Strategy & Investments (Isi), le piccole e medie imprese americane (considerando quelle presenti sul Russell 2000) ricavano il 18,2% dei loro profitti dalle vendite all’estero. Il 43% delle aziende raccolte in questo benchmark, inoltre ha una qualche esposizione fuori dai confini di casa. L’analisi dell’S&P500 dice che le maggiori corporate americane realizzano il 32,5% dei loro profitti all’estero, mentre il 72% ha attività in paesi stranieri.

“Il divario è grande, ma fa comunque capire che le Pmi americane sono più internazionali di quello che si può pensare”, spiega uno studio firmato da Francis Gannon, analista di Royce & Associates. Il dato generale sull’indice, tuttavia, non dice tutto. Segmenti come il real estate, le utility e le piccole banche fanno i loro affari prevalentemente a livello domestico.

Diverso il discorso per il comparto tecnologico che, secondo il report di Isi, realizza il 40% dei suoi profitti all’estero. A seguire c’è il segmento delle materie prime (28,3%) e quello industriale (21%). “Da un punto di vista strategico, significa che le aziende di questi settori sono meno legate agli andamenti dell’economia americana e possono offrire una buona diversificazione sia a livello settoriale che geografico”, continua Gannon.

Il vantaggio competitivo
L’asset class delle piccole aziende sembra particolarmente interessante per i piccoli investitori. “Certo, bisogna fare attenzione”, dice Todd Wenning, analista di Morningstar specializzato sulle small cap. “I titoli di questo segmento spesso hanno una volatilità maggiore rispetto alle blue chip e le aziende possono avere difficoltà ad accedere al mercato dei capitali. Ma i piccoli investitori che hanno un occhio attento per le aziende ben gestite, in questo campo e nel lungo termine possono battere i gestori dei grandi fondi di investimento”. Uno dei punti deboli dei money manager, ad esempio, è la scarsa capacità di manovra: se puntano una small cap, ne comprano una quota importante che poi rischia di condizionare il resto del portafoglio. “Senza contare che molte case di gestione si concentrano sui grandi nomi per i quali è più semplice fare analisi”, continua Wenning.

Ma cosa bisogna guardare quando si studia una small cap? “Queste aziende, in generale, tendono ad avere risultati meno prevedibili rispetto alle grandi corporate”, dice l’analista. “Quindi è importante scegliere quelle che hanno un buon livello di recurring revenue (introiti ricorrenti, Ndr). In questo modo si potrà avere un’idea dei risultati futuri. Per individuarle bisogna guardare il vantaggio competitivo (per Morningstar è l’Economic Moat). Questo elemento, nel caso delle small cap è dato dagli alti costi di switching cioè dal prezzo che i loro clienti pagherebbero se dovessero passare ad un altro fornitore. Più alto è questo valore, maggiori sono le possibilità che il business resti costante nel tempo”. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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