Cipro resta un boccone amaro

Il salvataggio di Nicosia, dicono gli operatori crea problemi al resto dell'Europa, ritarda l'uscita dalla crisi, mette in difficoltà le banche e pesa sulle valutazioni dell'equity. 

Marco Caprotti 04/04/2013 | 11:38
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Il boccone Cipro è sempre più difficile da mandare giù per i mercati finanziari. Il fatto che siano applicati prelievi forzosi del 30% ai depositi superiori ai 100mila euro presso la Banca di Cipro per ottenere aiuti per 10 miliardi, dicono gli operatori, rende più indigesto il piatto della crisi europea. “Le istituzioni europee cercano di rassicurare i mercati dicendo che le modalità del salvataggio dell’isola non verranno ripetute, ma gli investitori sono sempre più convinti che i prossimi aiuti agli stati in difficoltà saranno erogati a spese degli azionisti e obbligazionisti delle banche, oltre che dei correntisti”, spiega Dave Sekera, analista di Morningstar. Sembra un passo in avanti rispetto alla gestione di altri aiuti che hanno richiesto l’introduzione di manovre lacrime e sangue su tutta la popolazione e non solo sulla parte più ricca per cercare di arginare una situazione i cui primi responsabili sono gli istituti di credito. “In realtà gli svantaggi per la collettività superano i vantaggi”, continua Sekera. “La gestione della situazione cipriota ha dimostrato che la politica locale non ha più nessuna rilevanza sulle scelte dei cittadini. Il piano originale per il salvataggio di Cipro era condizionato all’approvazione del parlamento. Quello definitivo, invece, non ha avuto bisogno di nessun permesso di Nicosia”.

Le azioni intraprese nei riguardi di Cipro potrebbero avere implicazioni anche di lungo termine per gli sviluppi della crisi dell’Eurozona. “Dopo aver visto i più recenti termini dell’accordo, facciamo fatica a trovare un qualsiasi aspetto positivo”, spiega una nota di Salman Ahmed, strategist del Global&emerging fixed income team di Lombard Odier Im. “Unica eccezione, ma di breve periodo, il momentaneo sollievo legato alla non uscita immediata di Cipro dalla zona euro. Quest’isola potrà anche essere un puntino sulla cartina, ma assume rilievo se considerata nell’ottica di che fine faranno i nostri soldi. I soldi depositati in un paese debole avranno maggiore probabilità di poter essere confiscati rispetto a quelli in uno stato forte. La seconda lezione ci dimostra che, qualora fosse necessario, i governi possono creare e interpretare le regole a loro piacimento. Nel rispetto del trattato europeo, non sono consentiti controlli che limitino la libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione. Nonostante ciò, a Cipro sono state applicate misure draconiane. Questa non è soltanto una novità senza precedenti, ma è un elemento che solleva serie questioni sulla legalità di tali misure.  Anche l’ultima lezione desta preoccupazione. La famosa dichiarazione di Mario Draghi “faremo tutto il necessario” (per salvare l’euro, Ndr) è condizionata  ai casi specifici. Una promessa così omnicomprensiva non trova applicazione nel momento in cui la Bce minaccia di non concedere più fondi. Un atteggiamento che avrebbe potuto far precipitare la situazione con l’uscita di Cipro dall’area euro”.    

Occhio alle banche
La questione Cipro rischia di avere conseguenze anche dal punto di vista economico-finanziario. Per accorgersene basta leggere le dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo, Jeren Dijsselbloem. Il ministro delle finanze olandese ha assicurato che quello dell’isola è un caso a sé e che il piano di salvataggio non servirà da modello per risolvere situazioni analoghe in avvenire. La dichiarazione però è sembrata una pezza per coprire il buco creato dall’intervista rilasciata al Financial Times e a Reuters, in cui affermava che il piano poteva essere considerato un modello per l’Eurozona. Un’affermazione che ha fatto precipitare le quotazioni dei titoli bancari. Senza contare che altri official delle diverse istituzioni europee hanno poi fatto commenti simili.

Se il modello Cipro si dovesse applicare anche in altre situazioni le implicazioni per gli investitori sarebbero sostanzialmente quattro. “Prima: le banche più deboli potrebbero perdere il sostegno dei correntisti e degli investitori e questo potrebbe costringerle a fare delle fusioni per rafforzarsi”, spiega un report firmato da Liz Ann Sonders, responsabile degli investimenti di Charles Schwab. “Seconda: i costi di finanziamento delle banche potrebbero crescere visto che gli obbligazionisti chiederebbero rendimenti più alti per paura delle perdite. Terza: gli istituti di credito potrebbero chiudere i rubinetti dei prestiti o aumentare gli interessi. Quarta: la recessione nella zona euro potrebbe durare più del previsto”.

Le scelte operative
Da punto di vista operativo la situazione per chi vuole puntare sugli asset europei è complicata da alti fattori. Uno è il risultato delle elezioni italiane che hanno portato all’affermazione di partiti e movimenti contrari alle misure di austerità e allo stallo politico. Un elemento presente anche in altri stati e che, secondo gli analisti, potrebbe minacciare la soluzione della crisi. A questo vanno aggiunti i dati arrivati dalla Germania che mostrano una situazione di stagnazione per la prima economia del Vecchio continente. “Crediamo che l’economia dell’Eurozona sarà ancora in recessione nel 2013” recita uno studio di Richard Golod, responsabile delle strategie internazionali di investimento di Invesco. “Le valutazioni e i livelli di rischio dei mercati azionari della regione ci sembrano esatti. Tuttavia non mancano le opportunità di investimento. Gli operatori dovrebbero concentrarsi sulle aziende multinazionali che stanno aumentando le proprie quote di mercato nei paesi emergenti. Senza contare che molte società europee oggi offrono alcuni dei rendimenti da dividendo più alti del mondo”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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