I trucchi del trading

Non solo commissioni di gestione. Gli Etf hanno altre voci di spesa, che però si possono tenere sotto controllo.

Ben Johnson 28/06/2010 | 16:36
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Esiste la (giusta) convinzione che i bassi costi degli Exchange traded fund, li rendano attraenti per i portafogli a lungo termine. Al fine di avere una visione più completa, gli investitori hanno, però, bisogno di capire tutte le voci di spesa della negoziazione dei replicanti.

Tra il solido e il gas abbiamo...
Il liquido. Ma non ci riferiamo all’acqua, al ghiaccio o al vapore. Ci interessano gli investimenti. I titoli vengono spesso descritti come liquidi. Questo significa che sono più economici negli scambi ed è semplice trovare un compratore o un venditore. Ne sono un esempio le azioni di società ad alta capitalizzazione (le cosiddette blue chip) che passano di mano rapidamente. Inoltre, le transazioni singole producono un effetto minimo sul prezzo. I titoli illiquidi sono l’opposto: presentano un numero ristretto di compratori e di venditori e questi potrebbero divergere sostanzialmente sul prezzo, rendendone difficile la negoziazione.

La liquidità è un continuum. I corporate bond tendono a presentare meno liquidità rispetto alle azioni della stessa società, perchè ci sono di solito una o due classi di equity contro dozzine di emissioni obbligazionarie. Le azioni di una società a bassa capitalizzazione, anche se sono facili da comprare e vendere, sono “illiquide” se confrontate con le large cap.

Le fonti di liquidità negli Etf
Gli Etf hanno due fonti principali di liquidità: il mercato primario e quello secondario. Il primario è il luogo dove nascono e gli operatori autorizzati possono creare nuove azioni di Etf scambiando liquidità o titoli con l’emittente del replicante. Il secondario è il mercato di scambio, quello dove possono operare anche gli investitori retail. Esistono diversi fattori che contribuiscono a creare liquidità sul secondario: l’ammontare degli asset, i volumi di scambio, il numero di market maker e gli spread bid-ask.

Gli Etf più grandi, in termini di patrimonio, tendono ad essere più liquidi. Per quanto riguarda i volumi (il numero di azioni del fondo scambiate su una Borsa in un dato periodo temporale), questo dato va considerato insieme al prezzo: un Etf quotato a 80 centesimi che scambia 500 mila azioni al giorno è molto più liquido di uno con un prezzo di 10 centesimi che scambia 1 milione di azioni, perchè i flussi monetari sono più consistenti nel primo caso. Il numero di market maker è un’altra variabile importante: più è alto, maggiore è la probabilità di ottenere spread ridotti grazie alla concorrenza tra loro. Alcuni emittenti lo indicano sul foglio informativo o sul sito.

Come ultimo passo, bisogna controllare il prezzo bid (cioè quello dei compratori) e il prezzo ask (cioè quello dei venditori), utilizzando i siti degli emittenti o della Borsa. Con questi prezzi in mano e il prezzo corrente di mercato, è possibile calcolare il differenziale. Se questo è basso, vuol dire che c’è una buona attività di trading e quindi una maggiore liquidità.

Alcuni partecipanti al mercato secondario effettueranno del trading anche over the counter (Otc), ovvero fuori dei mercati ufficiali. Le transazioni Otc sono dominate principalmente da quelli che vengono chiamati istitutional buyers e sellers dealing. Queste transazioni (non ufficiali e quindi non riportate) sono una fonte importatissima di liquidità, che conta probabilmente almeno per il 50% del volume di trading totale. Visto che gli Etf non rientrano nella direttiva Mifid, le negoziazioni Otc non devono essere considerate nei report. Quindi, i valori ufficiali di Borsa tendono a sottostimare i volumi di scambio reali. Generlmente, se un investitore vuole piazzare un ordine che supera del 30% il volume medio giornaliero, è consigliabile che contatti direttamente un market maker in modo da ridurre i costi.

Lo spread bid-ask
Tra tutti gli indicatori, il differenziale bid-ask è la misura più precisa per individuare il costo di trading di un Etf. Esso consiste nella differenza tra il più alto prezzo che qualcuno è disposto a pagare per un certo titolo (bid) e il più basso prezzo a cui qualcuno è disposto a vendere lo stesso (ask). La differenza viene incassata da un market maker, una parte terza remunerata per mettere in contatto il venditore col compratore.

Lo spread bid-ask è normalmente indicato come una percentuale del prezzo di mercato del titolo. Ad esempio, se il prezzo bid di un’azione è 99 centesimi, il prezzo di mercato è 100 centesimi e il prezzo ask è 101 centesimi, il differenziale sarà di 2 centesimi o del 2%. È importante capire che questi numeri sono puramente dimostrativi; in realtà lo spread della maggioranza degli Etf è una frazione di queste cifre.

Come gestire la liquidità
In genere, le differenze marginali nel grado di liquidità diventano più importanti mano a mano che l’orizzonte temporale si accorcia. Lo spread bid-ask è molto più importati per chi vuole entrare e uscire dal mercato in poche ore piuttosto che per chi ha un orizzonte temporale di anni. Inoltre, la liquidità va considerata anche nel momento della vendita, perché nel tempo può diminuire, causando alti costi di trasazione.

La prima tattica per gestirla è investire nei titoli più liquidi. Per quelli che lo sono meno, si possono usare gli ordini limitati, in modo da controllare i prezzi di esecuzione. Infine, è importante considerare gli orari di negoziazione della Borsa replicata, preferendo le fasi di contrattazione (ad esempio, è meglio acquistare un Etf su Wall Street dopo pranzo).

Costi di brokeraggio
In ultimo, quando si parla di costi di transazione, il brokeraggio può rappresentare una spesa importante. Le commissioni possono variare a seconda di vari criteri, come la frequenza delle transazioni, il broker, la modalità di esecuzione di un ordine (attraverso un impiegato di banca, al telefono o per via telematica), il tipo di mercato (certi broker hanno commissioni più alte per i mercati esteri). La scelta del broker è fondamentale, ma anche adottare una strategia buy&hold, (acquista e conserva) permette di tenere sotto controllo i costi.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Ben Johnson  Ben Johnson è director of global exchange-traded fund research di Morningstar.

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