Un po’ di ottimismo e la crisi di Dubai mantengono in forma l’Asia. L’indice Msci della regione (Giappone escluso) nell’ultimo mese (fino al 9 dicembre e calcolato in euro) ha guadagnato il 5,1%, portando a +56,6% la performance da gennaio.
L’atteggiamento di fiducia degli operatori emerge da una ricerca condotta congiuntamente da PricewaterhouseCooper e l’Apec, l’Istituto di cooperazione economica della regione dell’Asia-Pacifico condotta intervistando 350 dirigenti d’azienda dell’area. Secondo il report l’opinione comune è che il peggio della crisi sia passato, anche se ci vorrà ancora tempo per arrivare a una ripresa sostenibile e a un recupero dell’occupazione.
Un percorso, comunque, irto di ostacoli. “Prendiamo la Cina”, spiega lo studio. “La ripresa economica è sostenuta da forti manovre fiscali e dai consumi domestici che sono supportati dagli incentivi governativi. Per mantenere questa situazione, il Paese dovrà diminuire la sua dipendenza dalle esportazioni e continuare a spingere i cittadini a spendere di più”. Altre difficoltà emergono da un report dell’Asia Business Council (ABC, un’organizzazione che raccoglie alcune delle aziende più grandi della zona). “In molti Paesi della regione, gli indicatori economici come disoccupazione, scambi commerciali e vendite al dettaglio stanno recuperando più lentamente rispetto ai listini di mercato”, spiega il report dell’ABC. “E’ come se si procedesse a due velocità: da una parte ci sono le Borse che mostrano un ottimismo eccezionale; dall’altra c’è l’economia di tutti i giorni che non è in grande forma”.
Senza contare che molte imprese sono preoccupate per quello che succederà quando i diversi governi (e non solo asiatici) metteranno la parola fine ai piani di stimolo economico. “In ogni caso l’Asia ha molte ragioni per sorridere”, continua lo studio facendo riferimento alla forza-lavoro giovane, all’aumento della produttività e al desiderio collettivo di andare avanti. “Inoltre, molte società della zona hanno saputo gestire la crisi degli ultimi due anni meglio rispetto alle loro concorrenti occidentali. Questo grazie alla tempesta di fine anni ’90, che le ha spinte ad avere strutture di capitale più solide”.
Nel frattempo, a dare una mano alla finanza asiatica ci ha pensato (suo malgrado) Dubai. Il rischio di collasso dell’Emirato ha spinto molti investitori a scappare dall’area del Golfo e a spostare il denaro nei Paesi dell’Asia. Il giorno in cui lo Stato arabo ha reso note le sue difficoltà a ripagare i bond in scadenza, ad esempio, Citigroup ha annunciato di aver messo 975 milioni di dollari in fondi asiatici. Le banche della regione, inoltre, sono poco esposte nell’area del Golfo (a Dubai in particolare). Per cui, anche in caso di default dell’Emirato, non dovrebbero subire contraccolpi.
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