Cosa fare per sapere se un fondo è liquido

La normativa stabilisce regole prudenziali e di contenimento dei rischi a tutela degli investitori; i quali hanno a disposizione diversi strumenti per conoscere quali titoli ci sono in portafoglio.

Sara Silano 25/07/2019 | 09:49
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Cosa fare per sapere se un fondo è liquido

Nei giorni scorsi, Gam ha annunciato di aver ricevuto tutti i corrispettivi derivanti dalla vendita dei rimanenti investimenti nella sua gamma Absolute Return bond e di voler restituire ai sottoscrittori una percentuale media del 100,5% del valore patrimoniale netto in base alle valutazioni al momento dell’inizio della liquidazione dei rispettivi fondi. Si chiude quindi una vicenda, iniziata un anno fa con la sospensione di Tim Haywood, responsabile della strategia a seguito di un’indagine interna sulle procedure di gestione del rischio e archiviazione dei dati. La notizia arriva in un periodo caldo per l’industria del risparmio gestito con i casi di H2O e Woodford.

Quanto devono preoccuparsi gli investitori? Se è vero che la combinazione tra i fondi comuni, che permettono di riscattare la quota ogni giorno, e la presenza in portafoglio di strumenti illiquidi può potenzialmente essere letale, ci sono dei presidi a tutela dei sottoscrittori e dei sistemi di controllo che rendono il fenomeno piuttosto infrequente.

La normativa
Innanzitutto, la normativa europea Ucits sugli organismi di investimento collettivo del risparmio e il Regolamento attuativo della Banca d’Italia stabiliscono che la percentuale di strumenti finanziari non quotati non possa superare il 10% del totale delle attività, oltre a numerosi altri presidi a protezione dei sottoscrittori. In secondo luogo, entro l’estate sono attese le linee guida dell’Esma (l’autorità europea di vigilanza sui mercati) riguardo gli stress test sulla resilienza dei fondi a diversi tipi di rischi di mercato, incluso quello di liquidità (ossia che gli asset non possano essere venduti abbastanza velocemente da incontrare le richieste di riscatto). Inoltre, lo Iosco, l’organizzazione internazionale delle autorità di controllo dei mercati, ha emanato nel 2018 delle raccomandazioni e ha annunciato di voler avviare un’indagine sulla loro applicazione nel 2020. Infine, i risparmiatori hanno diversi strumenti per conoscere cosa c’è in portafoglio.

Dentro i rendiconti periodici dei fondi
Sul sito Morningstar.it sono disponibili, nella scheda di ciascun fondo, le informazioni sulla composizione patrimoniale, inclusa la presenza di micro cap per gli azionari e la quota di titoli obbligazionari con rating basso o senza alcuna valutazione. Dalla sezione “Documenti”, inoltre, è possibile scaricare i rendiconti annuale e semestrale, che contengono dati preziosi al riguardo. In particolare, nel prospetto della situazione patrimoniale, si può trovare lo spaccato per “strumenti finanziari quotati” e “non” e confrontarlo con l’esercizio precedente. Inoltre, nella tabella relativa al risultato economico di esercizio sono indicati gli utili/perdite derivanti da entrambi.

Nei rendiconti periodici, le società di gestione danno informazioni anche sulle metodologie di gestione e controllo dei rischi; nonché sui principi contabili per il calcolo della quota e la valutazione degli strumenti finanziari. Ad esempio, per i titoli quotati su listini ufficiali si fa riferimento all’ultimo prezzo disponibile alla data di redazione del prospetto; mentre per quelli che non lo sono si può determinare il valore di realizzo tramite fornitori autorizzati, strutture di risk management e comitati di valutazione interne o della banca depositaria.

Concentrazione del portafoglio
Una volta che si conosce cosa c’è in portafoglio, il passaggio successivo è capire qual è l’esposizione a uno strumento illiquido. “Immaginiamo un’azione che ha un volume di scambi giornaliero medio di 100 mila titoli. Se il fondo possiede 10 mila quote, non avrà problemi a venderle, perché sono una piccola frazione del totale negoziato”, spiega Jeffrey Ptak, responsabile per la ricerca globale sui fondi di Morningstar. “Per contro, se il comparto detiene 1 milione di titoli, potrebbe avere dei problemi. Se dovesse vendere per far fronte a richieste in massa di riscatti, farebbe crollare il prezzo di quell’azione”. In questo caso, più che un problema di illiquidità è una questione di eccessiva concentrazione del portafoglio, quindi di strutturazione dello stesso, che limita le possibilità di movimento.

In Italia, il Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d’Italia, stabilisce in modo dettagliato i divieti e le norme prudenziali di contenimento e frazionamento dei rischi per gli organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) e può essere un utile strumento per sapere cosa può e non può fare un gestore. Ad esempio, sono previsti dei limiti all’investimento in strumenti finanziari di uno stesso emittente (il 5% come regola generale, ma ci sono delle eccezioni), alla detenzione di depositi bancari e strumenti derivati over-the-counter, all’assunzione di posizioni corte (tramite derivati). Inoltre, è previsto un limite massimo del 10% del valore complessivo netto del fondo per “assumere prestiti finalizzati a fronteggiare, in relazione a esigenze di investimento o disinvestimento, sfasamenti temporanei nella gestione della tesoreria”.

Effetto riscatti
Un ultimo aspetto da considerare è la quantità di richieste di riscatto o anche quella di un investitore che detiene una quota molto significativa del fondo. Negli ultimi anni, il mercato ci ha abituato a vedere fondi che per un certo periodo hanno raccolto molto in seguito a performance eccellenti, ma con la stessa rapidità sono stati oggetto di vendite. “Non necessariamente i deflussi devono essere massicci per creare potenziali rischi di liquidità”, dice Ptak. “Ci sono stati casi in cui le posizioni illiquide erano modeste, ma il gestore ha dovuto far fronte a continue richieste di riscatto per un certo periodo di tempo ed è quindi stato costretto a vendere i titoli più facilmente negoziabili ed è rimasto con quelli che non lo erano, con la conseguenza che questi ultimi hanno assunto un peso significativo”.

Nei rendiconti periodici di un fondo è possibile vedere quante sono le quote in circolazione, quante quelle di nuova emissione e rimborsate.

Dormire sonni tranquilli
Presidi regolamentari e disponibilità di rendiconti periodici sui fondi e informazioni su cosa c’è nel portafoglio di un fondo dovrebbero far dormire sonni tranquilli agli investitori, nonostante i recenti casi possano aver creato qualche allarme. Quello che è importante, però, è non essere superficiali nella scelta di un prodotto finanziario piuttosto che un altro. Il vero valore dei tanti dati a disposizione è nell’uso che se ne fa. Leggerli può rivelarsi tempo ben speso.

Per approfondimenti, leggi anche l'articolo Se il fondo va sotto stress.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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