Il petrolio crolla, radar sugli estrattori

Il calo dei prezzi del WTI ha pesato sui titoli delle società di produzione della materia prima. Meglio, dicono gli analisti di Morningstar, orientarsi su quelli che possono guadagnare anche dalle basse quotazioni del barile.

Marco Caprotti 27/11/2018 | 16:23
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Occhio ai titoli delle società che estraggono petrolio. La costante debolezza dell’oro nero, dicono gli analisti di Morningstar, ha pesato sulle azioni di questo segmento del comparto energy, rendendolo interessante dal punto di vista dei prezzi.

Per restare al passato più recente, il petrolio ha chiuso la seduta di venerdì 23 novembre con il calo maggiore dal luglio 2015. Il contratto gennaio a New York è scivolato del 7,7% a 50,42 dollari al barile. Si tratta di nuovi minimi dall’ottobre 2017. In questo modo il WTI ha archiviato la settima settimana di fila in ribasso. La flessione rispetto al venerdì precedente è stata di quasi l’11%. L’indice Morningstar WTI Commoditiy da inizio hanno si è lasciato dietro (in dollari) l’11,6%.

Indice Morningstar WTI Commodity
WTI

Dati in dollari aggiornati al 23 novembre 2018
Fonte: Morningstar Direct

Cosa schiaccia il barile
La discesa ha diverse cause. Ci sono i timori di un’economia globale in rallentamento. Un’altra spallata è arrivata dalla decisione dell’Opec (a ottobre) di aumentare la produzione di 127 milioni di barili al giorno. Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno fatto anche capire che sono in grado di poter alzare l’estrazione arrivando, insieme, a 270 milioni di barili al giorno se necessario. Si tratta di quantità più che sufficienti a compensare il calo di Iran e Venezuela (entrambe ai ferri corti con gli Usa dopo le sanzioni decise dalla Casa Bianca). “Insomma, i timori di una carenza di materia prima che avevano spinto le quotazioni del barile all’inizio dell’anno, ora sembrano svanite”, spiega Allen Good, Energy strategist di Morningstar.

Attenti alla volatilità
Cosa devono aspettarsi ora gli investitori? “Sono probabili nuove fasi di volatilità” dice lo strategist. “Non sappiamo quanta ulteriore capacità estrattiva abbia l’Opec. C’è la possibilità di vedere nuovi cali di produzioni in Iran e in Venezuela. Dal lato della domanda, è possibile che il ribilanciamento dell’economia cinese porti una diminuzione della richiesta”. Secondo lo strategist di Morningstar non è chiaro se il mercato, con le attuali quotazioni, abbia incorporato elementi come la richiesta di prodotti petroliferi più costosi, il rafforzamento del dollaro o i possibili effetti della guerra commerciale fra Usa e Cina. “Il risultato è che sovraproduzione e sottoproduzione sono eventi che hanno la stessa possibilità di accadere nel prossimo anno”, dice Good. “Fare scommesse di breve termine su una o l’altra eventualità, in questo momento, è estremamente rischioso”.

Il fattore shale
In questo quadro va inserito il fattore petrolio di scisto americano. “Per i produttori di shale oil, come per altri estrattori tradizionali, il prezzo ideale della materia prima, per rendere conveniente il lavoro, è intorno ai 50-55 dollari al barile”, dice Good. “Bisogna tenere conto però che il numero degli impianti estrattivi in questo momento è superiore alla quantità che sarebbe necessaria per tenere i prezzi in equilibrio nei prossimi anni. Se aggiungiamo questo elemento, le nostre previsioni dicono che il prezzo del petrolio potrebbe scendere nel breve termine o restare, più o meno, attorno ai valori attuali. Dal punto di vista operativo conviene quindi orientarsi su quelle società di produzione i cui titoli sono sottovalutati e che possono guadagnare da un barile che viaggia intorno ai 50-55 dollari”. (Leggi qui)

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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