L’asta per le frequenze 5G non fa felici tutte le telecom

I diritti d’uso sono stati molto cari, dicono gli analisti di Morningstar. L’esborso inciderà sulla capacità delle aziende di sviluppare il network e a rimetterci, nel lungo periodo, saranno i clienti. Alcuni bilanci, intanto, si appesantiscono.

Marco Caprotti 16/10/2018 | 14:57
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Chiusa l’asta per l’assegnazone dei diritti d’uso delle frequenze di telefonia 5G, il mercato si domanda se sia stato un affare e chi, eventualmente, lo abbia fatto o ci abbia rimesso.Telecom Italia si è aggiudicata tre lotti per un totale di 2,4 miliardi di euro. Vodafone si è aggiudicata lotti simili per una spesa in linea con quella del gruppo italiano. Iliad ha sborsato 1,9 miliardi per due lotti. Wind 3 ha sborsato 516 milioni e Fastweb ha speso 516 milioni.

“Altri stati hanno imparato dagli errori del passato”, spiega Allan C. Nichols, senior equity analyst di Morningstar. “Se le aste per le concessioni sono care, gli operatori hanno poi minore capacità di investimento per costruire il network necessario a utilizzare quelle frequenze. Questo, a sua volta, va a svantaggio dei consumatori. Per questo molti paesi europei hanno deciso di concedere le frequernze a prezzi più bassi. L’Italia, invece, in maniera intenzionale, ha deciso di costruire questa asta per massimizzare gli incassi”. In altre parole, ha deciso di dare poche concessioni, di dimensioni maggiori e a un numero limitato di offerenti.

Già in passato le difficoltà nello sfruttamento del network hanno fatto capire quanto questo elemento sia importante. Nel 2016, ad esempio, 3 Italia si è fusa con Wind diventando il primo operatore di telefonia mobile per numero di clienti. “Tuttavia non è riuscita a mantenere la posizione per colpa di una rete di scarsa qualità”, dice l’analista. “Secondo noi Telecom e Vodafone hanno sentito la necessità di acquistare i blocchi maggiori di frequenze per mantenere il vantaggio. Questo ha portato a offerte molto generose che, nel lungo periodo, rischiano di penalizzare il mercato”. Una posizione che ricalca quella dell’amministratore delegato di Vodafone, Nick Read, secondo cui “le aste dovrebbero essere disegnate per bilanciare le necessità delle casse statali con gli investimenti necessari per lo sviluppo delle società. E’ importante che i governi europei evitino di fare aste pericolose per i bilanci del settore”.

Chi guadagna e chi perde
Quali scenari si preparano, quindi, dopo l’asta? “Telecom Italia ha cercato di ridurre il suo debito per anni con scarso successo”, dice l’analista. “Per questo l’asta rischia di rendere il compito ancora più difficile. Per quanto riguarda Iliad, viste le sue piccole dimensioni, si tratta di un pesante investimento che, probabilmente, non aveva messo a budget quando ha deciso di entrare nel mercato italiano. A questo punto dovrà alzare le tariffe low cost con cui ha fatto l’assalto ai clienti della Penisola. Per CK Hutchinson (che controlla Wind 3) e Swisscom (che controlla Fastweb), l’ammontare speso, rispetto alle sue dimensioni, è troppo basso per avere un effetto degno di nota sui conti. Vodafone ha pagato più di quanto ci aspettassimo, ma il prezzo maggiore è compensato dal valore degli accordi di partnership che ha in giro per il mondo”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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