Chi ci guadagna se il Toro dei mercati invecchia?

Gli energetici, i material e gli industriali, dicono gli analisti di Morningstar, sono i segmenti che hanno maggiori possibilità di mettersi a correre quando il ciclo economico Usa darà segni di cedimento.

Marco Caprotti 16/08/2018 | 10:54
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La data da segnare sull’agenda degli investitori, non solo americani, è quella del 22 agosto. Quel giorno la fase di Toro che sta attraversando il mercato azionario Usa sarà ufficialmente la più lunga dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nello stesso momento, inoltre, la ripresa economica americana entrerà nel 74esimo mese consecutivo: il terzo periodo più lungo dal 1857 e con una durata doppia rispetto a quella fatta segnare, mediamente, da tutte le fasi di espansione della congiuntura.

Tutto questo ha delle conseguenze anche per gli investitori che non operano su Wall Street. Molti, infatti, iniziano a chiedersi se la prima economia del mondo (che, a seconda dei momenti, fa da traino o da freno al resto del globo) sia entrata nella fase finale della sua espasione e quali siano gli investimenti da fare. “Le fasi Toro non muoiono di vecchiaia”, spiega John Waggoner, analista di Morningstar. “Di solito si esauriscono per uno shock o per un evento inaspettato che costringe gli investitori a rivedere le proprie strategie. La fase attuale di espansione è vecchia, ma non c’è ragione di pensare che possa collassare a breve. Nonostante questo, ha senso guardare se ci sono i segnali di un ciclo economico arrivato alla fase matura e come il mercato reagisce”.

Uno di quei fattori che identificano un economic cycle che ha già fatto tanta strada è la piena occupazione. Il tasso di disoccupazione in Usa a luglio era del 3,9% (quando gli economisti parlano di disoccupazione al 4% di fatto parlano di piena occupazione). In una situazione del genere c’è molta gente che ha soldi da spendere e questo significa una domanda in crescita per beni come case, auto e computer. “L’aumento della richiesta, tuttavia, ha due aspetti negativi”, dice Waggoner. “Il primo è che i produttori potrebbero non essere in grado di soddisfare le richieste. Questo significa che aumenteranno i prezzi lungo tutta la filiera produttiva fino ad arrivare alle materie prime. Tutto ciò fa aumentare l’inflazione”.

La seconda conseguenza negativa, almeno dal punto di vista degli investitori, è che una bassa disoccupazione di solito porta a stipendi più alti che, a loro volta, diminuiscono la profittabilità di un’azienda. “Le società potrebbero assumere lavoratori con poca esperienza”, dice l’analista. “Ma solo per scoprire che formarli ha comunque un costo”.

Tutti questi elementi possono portare ad alti tassi di interesse. E, infatti, la Federal Reserve ha iniziato, seppur di poco e lentamente, ad aumentare il costo del denaro dai minimi storici. Quando ci sono strette monetarie le aziende e le persone iniziano a pagare di più per i prestiti. A quel punto i bond diventano una scelta più interessante delle azioni e i mercati scendono.

I prezzi delle commodity soffrono ancora
“Insomma, capire a quale punto siamo del ciclo economico non è semplice”, dice l’analista. Ci sono poche prove che i prezzi delle materie prime stiano salendo. I prezzi dei minerali di ferro (necessari per fare l’acciaio) negli ultimi 12 mesi sono scesi del 3,05% (-49,62% in cinque anni). Il rame, da sempre considerato un indicatore dell’andamento dell’inflazione, in un anno è sceso dell’1,78%. L’oro si è lasciato per strada il 3,5%. “Un motivo per cui l’economia non sta mostrando segni di invecchiamento è il taglio alle tasse approvato alla fine del 2017 che ha dato una mano ai consumi e al morale delle aziende”, dice l’analista.

Non mancano, comunque, gli elementi preoccupanti. Il Treasury decennale è cresciuto del 2,96% rispetto ai minimi storici toccati a luglio del 2016. I sondaggi sul sentiment dei consumatori, intanto, mostrano preoccupazione per quanto riguarda i tassi di interesse, l’inflazione e i prezzi. “Finché l’inflazione e i tassi di interesse restano bassi, gli investitori possono muoversi insieme all’economia che, nel secondo trimestre, ha segnato un progresso appena superiore al 4%”, spiega Waggoner. “Le aziende, intanto, grazie ai tagli alle tasse stanno vedendo un aumento dei profitti. Prima o poi le società che si comportano meglio nelle fasi di ciclo maturo dovranno inziare a salire in Borsa. Fra queste ci sono le azioni degli energetici, quelle del comparto material e gli industriali”.

Ma quando sarà meglio liberararsi di questi titoli? “Quando le società inizieranno a comunicare che l’aumento dei salari sta facendo scendere gli utili”, risponde l’analista. “A quel punto meglio inziare ad aggiungere settori difensivi: salute, utility e beni di consumo. Ma quel momento potrebbe ancora essere lontano”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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