Gli emergenti dimenticano in fretta la Fed

I rialzi dei tassi di interesse Usa, dicono gli analisti, non compromettono le potenzialità delle aree in via di sviluppo. Una mano gliela daranno anche le commodity. 

Marco Caprotti 21/12/2016 | 10:43
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Non ci sono più gli emergenti di una volta. Se in passato il rialzo dei tassi di interesse era un fattore che aggiungeva incertezze a un asset di investimento già considerato rischioso, oggi le regioni in via di sviluppo, secondo gli analisti, sono in grado di resistere meglio.

Certo la notizia dell’ultima stretta (quella del 14 dicembre che ha portato il costo del denaro in un range tra 0,50% e 0,75%) da parte della Banca centrale americana, unita all’intenzione di procedere ad altre tre strette monetarie nel corso del 2017, non viene ancora presa con un’alzata di spalle. Tassi più alti negli Stati Uniti di solito si accompagnano a maggiori costi di finanziamento per le aziende dei paesi emergenti e incoraggiano gli investitori di quelle aree a mettere i loro soldi in Usa nella speranza di rendimenti maggiori. “A tutto ciò, in questo particolare momento storico, vanno aggiunti la politica protezionistica del nuovo presidente americano Donald Trump e il rafforzamento del dollaro che spinge gli investitori a puntare su asset Usa”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “Ma se ci fermiamo a questi elementi non vediamo il quadro completo nel quale si stanno muovendo gli emerging. Molti di questi, soprattutto in Asia, possono contare su un buon numero di risparmiatori, su un surplus commerciale e su politiche fiscali che incoraggiano gli investimenti. In una situazione del genere sono ben equipaggiati per portare avanti piani di stimolo economico senza badare troppo a cosa succede in Usa”.

Un aiuto dalle commodity
C’è poi una questione che riguarda gli emergenti in generale. “La ripresa delle commodity darà una mano soprattutto agli stati che vivono di esportazione delle materie prime”, dice Johnson. “In questo senso, ad esempio, la decisione dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio per far salire le quotazioni è una buona notizia”.

In questa cornice, gli investitori hanno dovuto comunque fare i conti con un ritracciamento degli emerging. L’indice Morningstar EM nei giorni seguenti alla decisione della Fed (e fino al 19 dicembre) si è lasciato per strada, in euro, lo 0,54% (portando a +14% la performance da inizio anno) e ha dato un assaggio di quello che potrebbe succederenell’immediato futuro.

L'INDICE MORNINGSTAR EMERGING MARKETS DA INIZIO ANNO

emergentiMS

Dati in euro
Fonte: Morningstar Direct

A caccia di qualità
La visione di breve, tuttavia, non sembra preoccupare eccessivamente gli operatori. Soprattutto quelli che guardano nel medio e lungo periodo. “La frenata degli emergenti innescata dal rialzo dei tassi Usa potrebbe essere una buona opportunità per gli investitori”, spiega un report firmato da Rob Arnott, analista di Research Affiliates. Da quando la fase Orso di questa asset class è finita – a gennaio 2016 – diverse aziende dei paesi emerging hanno ricevuto le attenzioni degli investitori. Anche quelle di minore qualità. Periodi di ribasso permetteranno al mercato di spostare i soldi su quelle che hanno le potenzialità maggiori a prezzi più interessanti”.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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