Se le Banche centrali cambiano idea

Gli istituti di politica monetaria lasciano intendere che il periodo dei Qe potrebbe finire. La stagione dei rendimenti negativi, invece, non è ancora terminata. I bond, intanto, stanno alla finestra. 

Marco Caprotti 29/09/2016 | 12:05
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Il ricco calendario di riunioni delle Banche centrali ha convinto gli investitori in obbligazioni a mettersi alla finestra. Gli ultimi meeting, infatti hanno dato la sensazione che qualcosa potrebbe cambiare, oltre che nelle decisioni sui tassi di interesse (in alcuni casi), anche per quanto riguarda i programmi di Quantitative easing. In uno scenario del genere, la categoria Morningstar dedicata ai bond globali nell’ultimo mese è rimasta praticamente invariata.

“La dipendenza del mercato da programmi di allentamento monetario sta cominciando a calare”, spiega Dave Sekera, direttore della ricerca obbligazionaria di Morningstar. “Le preoccupazioni sono iniziate dopo che la Banca centrale europea ha deciso di mantenere invariata la sua politica monetaria, evitando di fare nuovi allentamenti che, invece, erano attesi”. In seguito all’annuncio della Bce i prezzi di alcuni governativi europei sono scesi, portando i rendimenti in territorio positivo (un cambio di campo che non si vedeva da metà giugno).

Il decennale tedesco ha visto lo yield arrivare allo 0,02% dopo aver toccato -0,19% a metà luglio. Poi è tornato a viaggiare con il segno meno. “I bond governativi hanno registrato un buon rally questa estate. Soprattutto a causa del referendum favorevole all’uscita del Regno Unito dall’Ue e che ha spinto gli investitori a cercare porti sicuri”, dice Sekera. “In ogni caso, anche se il rendimento di alcune obbligazioni ha rivisto il segno più, sul mercato ci sono ancora 12mila miliardi di euro di debito che tratta a prezzi troppo alti. Se gli investitori se lo tenessero in tasca fino alla scadenza ci sarebbero grandi perdite”.

Quando si muove la Fed
La Federal Reserve nell’ultima riunione ha lasciato i tassi di interesse invariati. Di fatto un dietrofront, dopo le dichiarazioni fatte nell’ultima riunione di Jackson Hole e complicata dalle dichiarazioni di alcuni membri del Fomc equamente divisi fra falchi (pro rialzo) e colombe (favorevoli allo status quo). La Fed, tuttavia, non ha escluso che si possa arrivare a una stretta entro la fine dell’anno. “Gli investitori in linea di massima sembrano escludere un rialzo dei tassi a novembre, mentre vedono più probabile una mossa a dicembre. Una buona fetta degli operatori, tuttavia, non si aspetta movimenti prima dell’anno prossimo”, spiega Sekera. Dopo l’annuncio della Fed, le valutazioni del reddito fisso sono salite. Gli investitori si sono concentrati soprattutto sulla parte lunga della curva. 

La BoJ punta sulla qualità                                                              
Anche la Banca centrale nipponica ha lasciato invariati sia i tassi a (-0,1%) che il programma di acquisto di titoli di stato a 80 trilioni di yen. Ma rispetto ai colleghi americani, i banchieri giapponesi hanno messo sul tavolo un elemento in più: la variazione qualitativa del Qe in atto. In pratica il focus si sposta dalla base monetaria al controllo della yield curve con un target per i tassi a lungo intorno allo zero. Gli 80 mila miliardi di yen che costituiscono il munizionamento del bazooka giapponese saranno quindi utilizzati in maniera discrezionale, modulando sia l’entità dell’acquisto specifico che il tratto di curva da “colpire” di volta in volta. “L’obbiettivo è quello rendere più ripida la curva dei rendimenti per minimizzare l’impatto che i rendimenti negativi hanno sulle istituzioni finanziarie e i fondi pensione (fra i maggiori acquirenti di carta del Sol levante)”, spiega Sekera. “Nel frattempo la BoJ cerca di rassicurare i mercati riguardo al superamento del target di inflazione del 2%”.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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