Il golpe dà un’altra spallata ai fondi turchi

Il tentativo di colpo di stato ha pesato sulle performance dei portafogli dedicati al paese. Gli emergenti, nel complesso, hanno tenuto. Il futuro dipenderà dai numeri e dalla capacità di creare fiducia. 

Marco Caprotti 22/07/2016 | 10:18
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Rivolta di Masaniello o vero tentativo di colpo di stato che sia stato, il golpe militare in Turchia ha fatto spaventare gli investitori internazionali, che hanno preferito allontanarsi ancora di qualche passo dagli asset del paese.

Nei giorni seguenti al tentativo di putsch (e fino al 21 luglio) i fondi raccolti nella categoria Equity Turkey hanno perso mediamente più del 16%. Va detto che da tempo la Turchia non è nella parte alta della lista della spesa dei gestori. I prodotti specializzati nel paese, dai massimi toccati a maggio 2013 hanno perso mediamente, più del 31%. Quelli venduti in Italia (tutti con rating di tre o quattro stelle) hanno avuto un andamento in linea con il resto della categoria. Quasi tutti i prodotti disponibili nella Penisola hanno un giudizio di “sostenibilità” medio o alto. Fa eccezione il JPM Turkey Equity D (acc) EUR (sotto la media). Va sottolineato, tuttavia, che il Morningstar Sustainability rating prende in considerazione solo le aziende presenti all’interno dei portafogli, senza entrare nel merito delle questioni politiche di un paese.

La diversificazione protegge
Fra gli investitori si è difeso bene dal golpe chi ha usato la diversificazione. La categoria Emerging Europe, dove gli asset turchi rappresentano circa il 20% del totale, è scesa dell’1,4%, mentre quella dedicata ai paesi in via di sviluppo del Vecchio continente senza la Russia (dove l’equity di Ankara è presente con il 14% del totale), è rimasta praticamente invariata. Se il tentato golpe non ha colto di sorpresa alcuni osservatori politici, ha invece preso in contropiede gli investitori che, nei mesi precedenti al colpo di stato, non hanno fatto spostamenti significativi di portafoglio, almeno per quanto riguarda l’esposizione geografica alla Turchia.

In attesa degli sviluppi sul fronte governativo, intanto, gli operatori provano a ragionare sui numeri. “Ci sono dei fattori che potrebbero annullare, anche se non compensare del tutto, gli impatti negativi del fallito colpo di Stato”, spiega un report firmato da Karine Jesiolowski e Koon Chow, rispettivamente Investment specialist ed Emerging market strategist di Union Bancaire Privee (UBP). “La crescita del Pil, ad esempio, è stata più solida nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, attestandosi al 4,8%, aiutata sia da una spesa del governo forte, sia dall'export. E’ probabile che, anche con l'impatto negativo del golpe sulla fiducia, il Pil cresca comunque intorno al 4% nel 2016”. Il deficit delle partite correnti poi ha continuato a ridursi, aiutato da esportazioni robuste e da prezzi del petrolio relativamente contenuti, attestandosi attualmente al -3,7% del Pil. Un dato migliore di quanto si aspettassero le agenzie di rating per quest'anno: S&P si attendeva un -4,3%, Fitch un -3,5% e Moody's un -4%. Ma a questo punto non è escluso che le agenzie ritocchino ulteriormente al ribasso le loro aspettative. S&P, ad esempio, ha già iniziato tagliando il rating sovrano in valuta estera della Turchia a BB per il lungo termine da BB+ e anche la valutazione in valuta locale a BB+ da BBB-. L'Outlook è negativo.

I rischi
I tagli peraltro avvicinano sempre di più i rating sul debito governativo a quello corporate presente nei portafogli dedicati alla Turchia analizzati da Morningstar che, mediamente, hanno un giudizio di singola B. Secondo S&P, dopo il fallito tentativo di colpo di Stato “la polarizzazione del panorama politico ha ulteriormente eroso il sistema istituzionale di equilibri e controlli”. Inoltre l'agenzia si aspetta un periodo di grande incertezza che potrebbe ridurre i flussi di capitali verso la Turchia, che ha un'economia indebitata verso l'estero. L'Outlook negativo riflette l'opinione che il profilo economico, fiscale e del debito della Turchia possa peggiorare più del previsto se l'incertezza del quadro politico contribuisse a indebolire ulteriormente il contesto degli investimenti, aumentando le pressioni sulla bilancia dei pagamenti. Opinioni che vengono prese molto sul serio dal mercato come dimostrato dalla lira turca che, dopo l’intervento di S&P, ha toccato un nuovo minimo storico verso il dollaro. La valuta è scesa fino a 3,0834, contro il precedente minimo di 3,0752 del settembre 2015.

I rischi, del resto, non mancano. La fiducia delle imprese locali ed estere potrebbe abbassarsi per via dei timori su una Turchia instabile, con riduzione degli investimenti e diminuzione di capitali esteri. Il governo Erdogan, intanto, sta cercando di far pulizia di tutti i cospiratori e sostenitori del golpe e, a seconda della preparazione di coloro che sostituiranno i giudici arrestati, il bilanciamento fra i poteri potrebbe uscirne ridotto sia dal punto di vista del privato che pubblico, col risultato di peggiorare il sistema giudiziario. “Entrambi questi fattori di rischio non si realizzeranno necessariamente”, spiega il report di UBP. “Tuttavia, se nei prossimi mesi dovessimo assistere a un rapido deterioramento della crescita del Pil o a importanti deflussi di capitali unitamente a un rapido deprezzamento della moneta (ad esempio del 10% l'anno), la probabilità e l'entità della sofferenza economica derivante da questi due fattori aumenteranno e di conseguenza crescerà il rischio di un downgrade del Paese”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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