L’America sostituisce volatilità con qualità

I fondi dedicati agli Usa hanno resistito alle perdite dei listini grazie alla scelta dei gestori di puntare su società solide con un buon vantaggio competitivo. I fari restano sul petrolio e sugli effetti che potrebbe avere nei conti delle banche. 

Marco Caprotti 25/02/2016 | 13:09
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I fondi specializzati sugli Stati Uniti ce l’hanno messa tutta per non farsi travolgere dall’ondata di volatilità che ha colpito le Borse globali. Le categorie Morningstar dedicate agli Usa che nell’ultimo mese (fino al 24 febbraio e in euro) si sono comportate meglio sono state la Us Large Cap Value (+0,15%) e la Us Mid Cap (+0,14%). Gli altri segmenti dedicati a Wall Street hanno contenuto le perdite, ad eccezione di quelli dedicati alle blue chip growth (-3% circa).

Ma come si spiega questa sostanziale tenuta dell’equity a stelle e strisce in un momento di forti dubbi sull’andamento dell’economia globale?  “Una parte del merito va a quelli che noi chiamiamo high conviction purchase fatti dai gestori azionari specializzati sugli Usa”, spiega Greggory Warren, analista di Morningstar. Con questo termine si indicano corposi acquisti da parte dei money manager di titoli che sono già in portafoglio o di quote di altre società che possono modificare sensibilmente l’aspetto del fondo. “Le analisi che abbiamo effettuato mostrano che molti gestori hanno scelto società di qualità che hanno un buon vantaggio competitivo (Economic moat)”. Fra i nomi più gettonati ci sono Microsoft, Ally Financial e VF Corp.

Occhio al barile
Nel frattempo gli investitori, professionali e retail, continuano a tenere d’occhio l’andamento del prezzo del petrolio. I (molti) bassi e i (pochi) alti del barile, infatti, rischiano di mettere in difficoltà non solo le aziende dell’oil, ma anche il sistema bancario americano. Un allarme in questo senso è arrivato da Goldman Sachs. La merchant bank ha ammesso che più di un terzo dei crediti finanziari che ha concesso al settore petrolifero e del gas sono considerati a rischio dalle agenzie di rating. A dicembre i prestiti erogati e le promesse di credito alle imprese del comparto petrolifero ammontavano al 10,6 miliardi di dollari. Di questi, il 40% era in favore di imprese sulle quali le agenzie di rating consigliano prudenza, in quanto considerate a rischio insolvenza.

Il livello di attenzione è alto, visto che le grandi banche americane si preparano a un nuovo round di stress test, la verifica della loro tenuta finanziaria introdotta dalla Federal Reserve dopo la crisi finanziaria del 2008. L'esame (diventato annuale dal 2011 e volto ad accertare che le banche abbiano riserve sufficienti ad assorbire shock simili a quelli seguiti al crack di Lehman Brothers), quest'anno potrà essere più severo, cosa che potrà limitare i piani degli istituti finanziari sull'aumento dei dividendi e il riacquisto di titoli propri. Il fatto che i test siano più severi, infatti, implica che i requisiti patrimoniali saranno sempre più alti.

Recessione in vista?
Gli economisti, intanto, studiano lo scenario macro e si chiedono quali saranno le mosse della Federal Reserve dopo il rialzo dei tassi effettuato alla fine dell’anno scorso (il primo dal 2006). Secondo alcuni osservatori se la situazione macro non dovesse migliorare la Banca centrale Usa potrebbe decidere di tornare ad abbassare il costo del denaro. I numeri parlano di un calo oltre le attese per le vendite di case nuove a gennaio: sono scese del 9,2% a 494mila unità. Il mercato si aspettava una flessione più moderata pari al 3,5% a 525mila unità. Il mese precedente c’era stato un rialzo del 10,8% a 544mila. E’ sceso oltre le attese l'indice flash Pmi servizi per il mese di febbraio negli Stati Uniti. Il dato è passato a 49,8 punti dai 53,7 del precedente, quando il mercato si aspettava una flessione più lieve a 53,4 punti. L'indice sulla fiducia dei consumatori calcolato dal Conference Board è sceso a 92,2 punti in febbraio dai 97,8 di gennaio. Il dato è peggiore delle attese degli analisti, che si attendevano un assestamento a quota 97,2. In ribasso anche il sotto-indice sulle aspettative, a 78,9 punti dagli 85,3 di gennaio. In discesa l'indice Pmi manifatturiero: a febbraio, il dato diffuso da Markit è calato a 51 punti dai 52,7 della lettura precedente.

Tutto questo segnala una recessione in arrivo? Gli ottimisti rispondono con il cosiddetto Superindice (che raccoglie alcuni leading indicator) dell'economia americana. L’indicatore è sceso in gennaio dello 0,2% rispetto al mese precedente, in linea con le attese degli analisti. “Colpa, soprattutto, dei forti declini dei titoli azionari”, ha detto Ataman Ozyildirim, del Conference Board, l’organismo che studia il paniere. “Nonostante questo declino faccia seguito a quello del mese precedente, l'indice non segnala un aumento significativo del rischio di recessione e il tasso di crescita a sei mesi rimane in linea con lo scenario di un'espansione economica modesta nel primo semestre dell'anno”.

 

 

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Titoli citati nell'articolo

Nome TitoloPrezzoCambio (%)Morningstar Rating
Ally Financial Inc39,05 USD0,88Rating
Microsoft Corp399,12 USD-1,27Rating
VF Corp12,83 USD1,26Rating

Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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