Usa e Giappone alle prese col fattore Central bank

La possibilità di un rialzo dei tassi americani e l’incapacità della Fed nel comunicare hanno premiato, fra i fondi con rating maggiore, quelli con la gestione più attiva. La BoJ ha regalato soprattutto certezze. 

Marco Caprotti 18/12/2015 | 09:07
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Federal Reserve e gestione attiva sono stati i temi dominanti negli investimenti in Usa. Elementi legati a doppio filo l’uno all’altro visto che la possibilità di un rialzo dei tassi di interesse Usa, data per imminente durante tutto il corso del 2015 (soprattutto nella seconda metà dell’anno), ha costretto i gestori a riposizionare i portafogli. Sarà anche per questo che, fra i fondi con i rating Morningstar più alti si sono distinti soprattutto quelli che hanno fatto della scelta attiva la loro caratteristica principale.

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Il dilemma Fed
Il susseguirsi di dati macro contrastanti e le difficoltà della Banca centrale Usa nel comunicare le sue intenzioni ai mercati (più volte si è parlato di Circo della Fed riferendosi ai messaggi contradditori che l’istituto lanciava ai mercati), infatti, hanno consigliato agli investitori di non stare troppo fermi ad aspettare gli eventi. A consigliare un maggiore attivismo sul fronte delle scelte di portafoglio è stato anche il fondo monetario internazionale, quando, a cavallo dell’estate ha chiesto alla Fed di pensarci bene prima di decidere sui tassi e di considerare oltre alla situazione interna, anche quella che si è vissuta sui alcuni mercati internazionali. Il progressivo indebolimento della Cina, infatti, ha messo in dubbio la tenuta dell’intera economia mondiale, di cui gli Stati Uniti continuano a restare il traino, ma di cui il può importante degli emergenti è ormai una pedina fondamentale.

La BoJ non delude il mercato
Le decisioni della Banca centrale sono state uno degli elementi determinanti per guidare le scelte dei gestori dedicati al Giappone, dove la BoJ ha deciso, in più occasioni, di lasciare invariata la sua politica monetaria. Tradotto in numeri, significa che ha fornito – e continuerà a fornire - all'economia 80mila miliardi di yen l'anno (528 miliardi di euro) attraverso il Quantitative easing. L'istituto, a ogni uscita pubblica, si è detto sempre più ottimista sulla crescita dell'economia e ha rivisto al rialzo le sue stime sulla spesa delle famiglie e per la casa, due voci fortemente influenzate l'anno scorso dal rialzo dell’Iva. A dare fiducia ai money manager si è aggiunto il fatto che, nel corso dell’anno, il ricorso al debito come fonte di finanziamento da parte delle aziende nipponiche sembra avere intrapreso un solido percorso di ripresa dal 2012. Da allora sono stati rimborsati circa 68miliardi di dollari di corporate bond. Nello stesso lasso temporale le imprese nipponiche, secondo la BoJ, hanno però richiesto una cifra quasi quattro volte superiore sotto forma di prestiti bancari. A far ben sperare è che l’aumento della domanda per i finanziamenti deve essere attribuito non solo ai più stringenti requisiti sul capitale circolante o al calo dei tassi d’interesse, ma anche (e in misura crescente) alle maggiori necessità d’investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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