Inflazione, buona o cattiva?

Dopo la paura deflazionistica, in Europa il livello dei prezzi dovrebbe tornare a crescere. Ecco quali sono le dinamiche sottostanti e l’effetto sui rendimenti finanziari.

Valerio Baselli 22/05/2015 | 09:20
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Le variabili macroeconomiche che possono pesare sui rendimenti finanziari sono molteplici. Una, però, è stata particolarmente presente nelle preoccupazioni degli investitori in questi ultimi mesi: l’inflazione, o meglio il suo opposto, la deflazione (nel 2014 il tasso d’inflazione aggregato in Europa è stato pari a -0,62%).

Cos’è
Prima di capirne gli effetti, è bene avere chiaro in mente di cosa si sta parlando. L’inflazione è l’aumento del livello generale dei prezzi. Di solito, un’inflazione moderata è associata alla crescita economica, mentre un alto tasso d’inflazione può indicare il surriscaldamento dell’economia. Quando i prezzi diminuiscono, invece, siamo di fronte alla deflazione, spesso causata da un indebolimento della domanda.

L’inflazione è strettamente legata alla politica monetaria, in particolare al costo del denaro (tasso d’interesse nominale) e alla base monetaria (costituita dalle banconote e dalle monete metalliche che per legge devono essere accettate in pagamento e dalle attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, esistenti in un determinato momento nel sistema economico).

Nel determinare il tasso d’inflazione, gli economisti distinguono l’inflazione di fondo (detta anche core) dall’inflazione complessiva (detta anche primaria). La differenza è che la prima non tiene conto dei prezzi dei beni alimentari e dell’energia, i quali sono soggetti a brusche oscillazioni nel breve periodo.

L’indice dei prezzi al consumo (CPI) è il più utilizzato e riflette i cambiamenti dei prezzi al dettaglio di un paniere di beni e servizi.

Buona o cattiva?
La convinzione generale è che l’inflazione sia un fattore positivo, non a caso anche la Banca centrale europea ha tra i suoi obiettivi quello di mantenere un tasso d’inflazione annuo al 2%. In realtà, l’aumento generale dei prezzi non è di per sé un segnale positivo per l’economia.

Semplificando, si può dire che esiste una buona inflazione e una cattiva inflazione. La cattiva inflazione è quella che non cova in sé nessuna speranza di crescita, che appare a causa di una distorsione nell’economia reale; per esempio, l’inflazione da domanda così come descritta dalle teorie keynesiane, ossia quando l’offerta non riesce a tenere il passo con la richiesta. La buona inflazione, invece, è quella che precede la crescita, che è causata dalle politiche economiche che vanno nel senso di un aumento del Prodotto interno lordo. È quello che sta accadendo in Giappone, protagonista di una politica iper-espansiva come non se ne vedevano da decenni. Sono piovuti sull’economia reale nipponica qualcosa come 60 mila miliardi di yen, equivalenti a circa 445 miliardi di euro. È anche quello che vorrebbe provocare le Bce attraverso il quantitative easing europeo partito a marzo.

Lo stesso discorso vale per la deflazione, normalmente associata alla recessione economica (probabilmente a causa del ricordo della Grande depressione degli anni ‘30, in cui ci fu un drammatico crollo dei prezzi, della produzione e del Pil). Anche qui, la deflazione in sé non deve necessariamente essere una fonte di preoccupazione, perché non tutte le deflazioni sono uguali. Quelle che derivano dal lato dell’offerta in realtà sono positive, perché vuol dire che ci sono forze e innovazioni che fanno abbassare i prezzi, ad esemio miglioramento della produttività, una maggiore concorrenza, o input più economici e più abbondanti come un minor costo del petrolio. Un esemio in questo senso è il Regno Unito, dove nel primo trimestre dell’anno il tasso d’inflazione è stato praticamente nullo, ma la crescita economica positiva (+0,3%).

Impatto sui rendimenti
Ora, dopo un periodo di crescita dei prezzi, in Europa l’inflazione è prevista di ritorno. Quale sarà l’impatto sui portafogli degli investitori del Vecchio continente?

“L’inflazione rappresenta una minaccia per gli investitori, poiché erode il risparmio reale e i rendimenti, diminuendo il potere di acquisto”, si legge in un’analisi pubblicata da Pimco, dedicata al tema. “Se non si protegge il portafoglio, può essere dannosa soprattutto per gli investimenti a reddito fisso: visto che la cedola di un bond resta invariata fino alla scadenza, il suo valore reale diminuisce nel tempo all’aumentare dell’inflazione. In modo analago, l’aumento dei prezzi erode il valore del capitale messo in un titolo obbligazionario”.

Inoltre, con l’aumento dell’inflazione, tendono a salire anche i tassi d’interesse. Le aspettative di un mercato con più alti tassi (quello che sta succedendo oggi negli Stati Uniti, dove la Federal Reserve dovrebbe muovere al rialzo il saggio nei prossimi mesi) causano una flessione nei prezzi delle obbligazioni.

Le azioni, dal canto loro, si sono rivelate un buon investimento nei confronti dell’inflazione nel lungo periodo (in generale, più inflazione porta a più utili). “Tuttavia, nel breve periodo spesso il mercato azionario ha evidenziato una correlazione negativa con il tasso d’inflazione e può essere penalizzato sopratutto da un’impennata imprevista dei prezzi, che può accentuare l’incertezza sul futuro economico”, prosegue il report di Pimco.

Come muoversi
Tipicamente, l’investitore che vuole proteggere il proprio capitale da un aumento dell’inflazione ha tre diverse possibilità, dove una non esclude l’altra. Ci sono le obbligazioni a tasso variabile, le quali offrono cedole che seguono l’evoluzione del tasso d’interesse di riferimento (correlazione positiva anche se imperfetta con l’inflazione). Ci sono poi i bond indicizzati all’inflazione, direttamente collegati al tasso ufficiale.

Infine, ci sono le materie prime, unico settore in cui si è quasi certi che un aumento dell’inflazione porti a un maggiore valore. Dedicare una piccola parte del proprio portafoglio a indici di commodity può essere quindi una strada per proteggersi, in parte, dal pericolo inflazionistico. Detto questo, è bene essere consapevoli che alcuni segmenti specifici sono influenzati anche da altri fattori: l’agricoltura dal meteo o l’energia da trend geopolitici.

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Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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