Il dividendo non è tutto

Gli elevati yield di alcuni titoli spesso possono nascondere delle trappole. Il mercato racconta anche numerose storie di società virtuose che hanno saputo autofinanziare la propria crescita e hanno premiato gli azionisti con elevati guadagni in conto capitale.

Francesco Lavecchia 18/11/2014 | 09:52
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Meglio un uovo oggi o una gallina domani? Il dilemma assilla gli investitori che devono scegliere se portare a casa un rendimento fisso (anche se non elevato) o porsi un obiettivo di guadagno a medio/lungo termine. In molti pensano che in un contesto fatto di mercati azionari incerti e molto volatili e di bassi ritorni sul versante obbligazionario la soluzione migliore sia quella di un profitto sicuro. La storia dei mercati dei capitali, però, ci mostra numerosi casi in cui la rinuncia al dividendo è stata premiata da rendimenti in doppia cifra per un periodo prolungato di tempo.

Se la selezione dei titoli è fatta basandosi unicamente sul dividend yield (calcolato come il rapporto tra somma dei dividendi da inizio anno e l’ultimo prezzo di mercato), il rischio è quello di venire ammaliati da rendimenti molto alti che difficilmente potranno essere ripetuti nel futuro e di ritrovarsi quindi intrappolati in un titolo che non garantirà più alcuna cedola e che, con molta probabilità, sarà anche bocciato dal mercato. Molto spesso, infatti, succede che le società distribuiscano gli utili derivanti dai ricavi generati dalla dismissione di business marginali, mentre la gestione caratteristica produce risultati negativi. Oppure di aziende che, non avendo sufficiente denaro in cassa, si indebitano per continuare a staccare la cedola. Dinamiche di questo tipo non sono sostenibili nel tempo. Meglio, quindi, preferire società che portano avanti una disciplinata politica di dividendo, magari non elevato ma costante e distribuito in maniera continuativa. Oppure, guardare a quelle che rinvestono costantemente gli utili per finanziare nuovi investimenti. Una scelta di questo tipo deve essere interpretata come il segnale di un potenziale apprezzamento del valore di mercato della società. Indica, infatti, che il rendimento prodotto da questi impieghi è superiore al costo del capitale e che quindi le scelte del management riescono ad accrescere il valore dell’azienda.  

Google, rendimenti da capogiro
Chi ha investito in Google dieci anni fa, ad esempio, non ha mai ricevuto un dollaro in dividendi ma in compenso ha visto salire il prezzo delle proprie azioni del 546% (da 86 dollari del 2004 agli attuali 558 dollari), per un rendimento medio annuo di circa il 20%. Il colosso americano dell’hi-tech ha allocato in media tre miliardi di dollari nell’ultimo decennio in nuovi investimenti che hanno prodotto un ritorno del 20% e qualcosa come sette miliardi di dollari in flussi di cassa ogni anno. 

Nato come un browser per la ricerca online, Google ha allargato il suo portafoglio a una vasta gamma di attività collaterali che gli utenti usano frequentemente (come ad esempio Crome, Gmail, YouTube, Google+, Google Maps) o parallele, come il sistema operativo per dispositivi mobili Android. Google concede l’utilizzo gratuito del software alle case produttrici, quindi non percepisce alcun guadagno diretto, ma in cambio ottiene che questi utenti continuino a usare i suoi servizi anche su tutti gli altri dispositivi. Questo si traduce in maggior traffico Internet e, di conseguenza, in ingenti introiti pubblicitari, che sono il principale driver della crescita del gruppo. Il futuro dell’advertising è online e quelli che ne trarranno il maggior vantaggio sono coloro che riusciranno a catturare il maggior traffico Internet, come appunto Google. Per questa ragione i nostri analisti riconoscono all’azienda una posizione di vantaggio competitivo (Economic moat) e si aspettano che il fatturato possa continuare a crescere nei prossimi cinque anni a un tasso medio dell’11%. I nuovi investimenti in attività a più bassa marginalità rispetto a quella del motore di ricerca su Pc hanno ridotto i margini di profitto dell’azienda. Il loro progressivo consolidamento contribuirà a far risalire gli indici di redditività, ma su livelli comunque inferiori ai massimi storici.

La regola di Buffet è zero dividendo
Il cosiddetto Oracolo della finanza, Warren Buffet, ha fatto di Berkshire Hathaway una delle holding più grandi al mondo sposando a pieno la filosofia del rinvestimento degli utili. Il gruppo conta partecipazioni in oltre 60 aziende attive nei settori più disparati, da quello assicurativo (da sempre il cardine della società) a quello dei beni di consumo, dal farmaceutico ai media, per arrivare agli industriali e al retail. Dal 1964, anno in cui Buffet ha assunto in controllo, le azioni del gruppo non hanno mai staccato dividendo, ma i soci hanno potuto comunque consolarsi con rendimento medio del 20% (calcolato in base al Book value, pari all’attivo netto in bilancio). I numeri di Berkshire Hathaway sono impressionanti: dal 2003 il fatturato è salito a un ritmo del 10% annuo. Stessa cosa è avvenuta per il reddito operativo e per i profitti, con un ritorno del capitale investito che si è mantenuto costantemente attorno al 7,5%.

Il mercato ha premiato questi numeri con un rendimento totale del 160% negli ultimi dieci anni per un ritorno medio del 10,23%. I nostri analisti ipotizzano che il giro d’affari del gruppo possa crescere nei prossimi cinque anni a un tasso annuo del 9%, ma sono scettici sulla possibilità che Buffet riesca a migliorare ulteriormente la redditività del capitale. La holding, che genera un ingente ammontare di liquidità ogni anno, ha ormai dimensioni enormi ed è sempre più difficile trovare nuove occasioni di investimento che siano al tempo stesso molto redditizie e di dimensioni tali da far crescere il ritorno del capitale nel suo complesso. Ecco perché la regola dello zero dividendo è probabilmente destinata a cadere.  

Express Scripts cresce per acquisizioni
Diversamente da molte società del settore della salute, Express Scripts ha sempre preferito utilizzare la liquidità per nuove acquisizioni, piuttosto che per la distribuzione di dividendi. Il gruppo è leader negli Usa nel business del pharmacy benefit management (figura intermedia tra le case farmaceutiche e i centri sanitari il cui compito è quello di gestire le richieste di medicinali di questi ultimi nel modo più efficiente possibile), un comparto che al contrario di quello farmaceutico, fortemente dipendente dalla durata dei brevetti, garantisce flussi di cassa elevati e costanti nel tempo. La bravura del management è stata quella di utilizzare la liquidità per finanziare l’acquisizione di società competitor.

Questo ha permesso al gruppo di raggiungere dimensioni tali da guadagnare un forte potere contrattuale nei confronti dei fornitori e di realizzare elevate economie di scala. L’effetto sui conti societari è stato notevole. Il fatturato è salito negli ultimi dieci anni da 11 miliardi di dollari a 100 miliardi di dollari, ad un tasso medio annuo del 23% circa. Il reddito operativo e gli utili sono saliti allo stesso ritmo trascinando il titolo dai nove dollari del novembre 2004 agli attuali 77 dollari. La performance media è stata del 23%, superiore a quella del mercato americano (S&P 500) di circa il 15%. I nostri analisti ipotizzano che l’azienda continui a finanziare i propri investimenti anche nel futuro (per un impegno annuo di circa 300 milioni di dollari) e che questo possa tradursi nei prossimi cinque anni in una crescita media del fatturato del 2,5% e nell’espansione dei margini di profitto. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Francesco Lavecchia

Francesco Lavecchia  è Research Editor di Morningstar in Italia

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