Gestione attiva a rischio di sopravvivenza?

Negli Usa i prodotti indicizzati hanno catturato il 68% della raccolta netta negli ultimi dodici mesi; in Europa il tasso di crescita organica è superiore agli active fund. Ma una bolla sui mercati potrebbe rilanciare questi ultimi.

Sara Silano 13/08/2014 | 14:56
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I fondi attivi hanno un futuro? E’ la domanda che provocatoriamente pone all’industria del risparmio John Rekenthaler, vice president per la ricerca di Morningstar. “La questione è seria”, dice, perché la diffusione dei prodotti indicizzati dopo il 2008 non è solo il frutto di un’infatuazione da parte degli investitori. Negli Stati Uniti il trend è evidente: negli ultimi dodici mesi (al 30 giugno), il 68% della raccolta netta è andata nei fondi passivi e negli Etf, mentre solo il 32% in quelli attivi. In Europa, il fenomeno non ha ancora assunto le dimensioni americane, tuttavia il tasso di crescita organica (flussi in percentuale degli asset iniziali) è stato del 10,27% per gli index fund contro il 7,17% per gli active.

La gestione attiva rimane la scelta più popolare su entrambe le sponde dell’oceano per i fondi bilanciati e alternativi, che non si prestano molto alla logica dell’indicizzazione. Inoltre, gli investitori non sono particolarmente attratti dai benchmark composti. La passiva, invece, prende piede su quelli tradizionali, sia azionari sia obbligazionari.

Effetto bolla
Cosa potrebbe rilanciare gli active fund? Per Rekenthaler, una bolla sui mercati potrebbe far bene a questi prodotti, anche se trattandosi di previsioni, vanno prese con cautela. Mercati in cui i titoli non sono correttamente valutati (ad esempio perché i prezzi sono gonfiati) rappresentano un problema per i gestori passivi perché l’aumento delle quotazioni accresce il peso delle big cap all’interno dell’indice. Per essere fedeli al benchmark, i prodotti indicizzati dovranno mettere in portafoglio percentuali sempre maggiori delle azioni “gonfiate” dalla speculazione (il discorso si riferisce soprattutto agli indici a capitalizzazione, che sono i più diffusi).

Casi come la bolla giapponese negli anni Novanta e quella tecnologica nel 2000 mostrano come i manager attivi possano emergere in queste situazioni. Nel dicembre 1989, l’indice Msci Eafe (Europa, Australia, Asia e Far east) molto diffuso tra i fondi internazionali americani perché esclude gli Stati Uniti e il Canada, aveva il 60% del paniere investito nella Borsa nipponica, che era decisamente molto cara (il rapporto prezzo/utili medio era pari a 68). “I gestori attivi sottopesarano il listino di Tokyo nei loro portafogli”, ricorda Rekenthaler, “e fu una scelta vincente”.

La dinamica del 2000 è stata più complessa. L’apprezzamento dei titoli tecnologici portò il settore a rappresentare il 33% del mercato azionario statunitense, percentuale che molti gestori replicarono o addirittura superarono. Alcuni gestori più attenti ai fondamentali delle aziende non seguirono la massa e la loro decisione fu premiante nel successivo crollo delle azioni hi-tech.

Star dei mercati Orso
Questi due esempi mostrano che i fondi attivi possono emergere se la bolla colpisce un segmento, non l’intero mercato. La crisi finanziaria del 2008, ad esempio, li ha penalizzati profondamente dal momento che tutte le classi di attività sono crollate. Altro requisito per il successo è il forte sottopeso delle azioni “gonfiate”. Su questo aspetto, l’editorialista di Morningstar è scettico, in quanto attualmente il portafoglio dei fondi attivi non si discosta molto dal mercato azionario nel suo complesso.

La storia insegna che sono stati pochi i money manager che hanno saputo gestire con successo i crac di mercato e ancora meno quelli che lo hanno fatto per più volte. Le star delle fasi Orso, infatti, tendono ad essere difensive, perdendo parte dei rally che fanno nascere le bolle, per cui molti investitori preferiscono uscire per cavalcare l’ascesa dei prezzi su fondi più performanti, decretando talvolta la chiusura di prodotti ben gestiti.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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