Il Messico ruba il posto alla Cina

Il paese del Centro America sta diventando la meta preferita per le aziende dei paesi sviluppati che vogliono produrre a basso costo. Ecco chi ci guadagna in Borsa. 

Marco Caprotti 13/11/2013 | 14:08
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Se la Cina, come diceva il titolo di un libro di Enrico Emanuelli, è vicina, il Messico lo è ancora di più. Soprattutto per le aziende occidentali (e in particolare americane) che sono alla ricerca di un paese in via di sviluppo in cui spostare, in tutto o in parte, produzioni che in casa e nel paese asiatico sono troppo care.

La Cina si appanna
Il paese del Drago, che negli ultimi anni è stato un elemento chiave per la crescita mondiale, insomma, sembra stia passando di moda. Un fattore reso evidente dagli ultimi rallentamenti registrati soprattutto nel comparto manifatturiero. Ad aprile, durante un meeting del Fondo monetario internazionale il governatore della Banca popolare cinese, Zhou Xiaochuan, ha detto che il +7,7% fatto registrare dal suo paese nel primo trimestre del 2013 rappresentava un “tasso di crescita ragionevole” e ha aggiunto di attendersi un +7,5% per l’intero 2013. Numeri sotto i quali molte aree, anche in via di sviluppo, metterebbero la firma ma comunque lontani dal +10-11% fatto segnare dalla Cina in altri periodi degli ultimi 10 anni. A preoccupare gli investitori è anche l’indice dei direttori d’acquisto che, da qualche tempo, si muove pericolosamente intorno a quota 50 (quella che separa la crescita dalla contrazione). La Tigre asiatica è finita anche nel mirino di alcune delle maggiori agenzie di rating: Moody’s ha rivisto l’outlook sui bond governativi portandolo da positivo a stabile, mentre Fitch ha abbassato il rating sui debiti a lungo termine da AA- a A-. Pechino non è rimasta con le mani in mano. Il governo ha imposto delle misure di austerità e ha introdotto dei provvedimenti che limitano la capacità delle amministrazioni locali di indebitarsi.

Il Messico prova a svegliarsi
Anche il Messico ha i suoi problemi. Il Pil sta facendo fatica a raggiungere il +3,2% fatto segnare alla fine del 2012. A marzo, poi è stato registrato un calo della produzione industriale (coinciso, peraltro, con un rallentamento dell’attività in Usa). Secondo alcuni operatori il Banco do Mexico (detto anche Baxico) potrebbe decidere di tagliare ancora i tassi dopo il mezzo punto limato a settembre che ha portato il costo del denaro al 4% (è stata la prima volta che l’istituto centrale ha tirato fuori le forbici negli ultimi tre anni). Gli analisti, intanto, sono sempre più ottimisti sul futuro del paese centroamericano. Quelli di Fitch a maggio hanno alzato il credit rating sui bond governativi (in valuta estera) a BBB+: il primo upgrade dal 2007. Merito anche del piano di riforme introdotto dal nuovo presidente, Enrique Nieto, per cambiare il mercato del lavoro e per aprire alla concorrenza il settore energetico e quello delle Tlc. Se tutto filerà liscio, dice Baxico, il Pil del paese potrebbe arrivare al 6%.

Dove è facile fare affari
In mezzo a tutto questo, il Messico si sta anche proponendo come valida alternativa alla Cina come paese in cui spostare le produzioni. Secondo l’indice Ease of doing business (facilità nel fare affari) elaborato dalla World Bank prendendo in considerazione 185 economie, nel 2013 il paese centramericano è passato alla posizione numero 48 dalla 53, mentre la Cina è ferma al 91esimo posto. Un fattore cruciale che le società prendono in considerazione quando decidono di spostare le attività sono gli stipendi. In Cina, nel settore manifatturiero negli ultimi 10 anni sono cresciuti costantemente arrivando a 2,4 dollari l’ora. In Messico sono pari a 2,5 dollari l’ora ma dal 2002 sono rimasti grosso modo costanti.  Molti dei distretti industriali cinesi, inoltre, sono situati lungo le coste, dove i terreni stanno diventando sempre più cari (anche se il governo centrale sta facendo di tutto per calmierare i prezzi). A causa della geografia del paese, peraltro, spostare gli impianti nelle regioni più interne renderebbe più costosi i trasporti verso i porti più cari incidendo pesantemente sui costi totali di esportazione.

In Messico, intanto, il quadro industriale è cambiato negli ultimi anni, soprattutto dal punto di vista logistico. Prima la maggior parte dei distretti industriali (le maquiladoras) si trovavano vicino al confine con gli Stati Uniti. Ma, a causa della recessione e delle violenze legate al narcotraffico, gli impianti si sono spostati gradualmente sempre più all’interno del paese dove, peraltro, ci sono costi della vita più bassi e discreti sistemi infrastrutturali. Negli ultimi tre anni la produzione nelle regioni di Guanajuato, Aguascalientes, Queretaro e San Luis Potosi è cresciuta del 30% grazie soprattutto ai business auto e aereo che stanno sostituendo quello tessile e che lavorano in base alle esigenze dei vicini statunitensi.

Ma la grande differenza è dal punto di vista energetico. La Cina è il più grande produttore e consumatore mondiale di carbone, una fonte considerata inefficiente e inquinante. Il Messico, invece, può contare su grandi riserve di gas naturale che non sono ancora state sfruttate.

Allarme sicurezza
Un punto su cui i due paesi devono lavorare è quello della sicurezza. Il Messico viene considerato uno degli stati più violenti del mondo. Un avviso ai viaggiatori del Dipartimento di stato americano del novembre 2012 spiegava che nel paese vicino c’erano stati 47.515 omicidi legati al traffico di droga dal primo dicembre 2006 al 30 settembre 2011. A febbraio di quest’anno, tuttavia, gli assassinii sono scesi ai minimi degli ultimi tre anni, al di sotto dei livelli registrati, ad esempio, in Brasile. La Cina, da parte sua, deve fare i conti con una serie di problematiche legate alla sicurezza dei lavoratori e, spesso, a quella dei prodotti che esporta.

Le scelte operative
“Il passaggio di testimone fra la Cina e il Messico potrebbe aver delle profonde implicazioni per gli operatori di Borsa”, spiega uno studio firmato da Mark Bogar e Michelle Holmes, analisti di The Boston Company Asset Management. “A beneficiarne potrebbero essere soprattutto le società americane del manifatturiero che, producendo in Messico avrebbero molti dei vantaggi che in passato hanno trovato in Cina ma, questa volta, a un passo da casa. Un elemento, questo, che permetterebbe di ridurre i tempi e i costi di trasporto. Meglio tenere d’occhio anche il segmento dei servizi all’industria energetica. Lo sviluppo del paese centramericano richiederà un dispendio energetico che, per buona parte, sarà soddisfatto con le riserve locali”. La Cina, nel frattempo, cercherà di tornare appetibile abbassando il costo del lavoro. “Per farlo, però, dovrà dare maggiore impulso all’automazione delle fabbriche che, al momento è scarsa”, continua lo studio. “In quest’ottica sono interessanti le aziende che si occupano di processi di automazione industriale”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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