Petrolio, la nuova geografica degli scisti

Il North Dakota è il cuore della futura corsa all’oro nero. Gli Usa stanno tornando competitivi grazie ai bassi prezzi dell’energia.  

Azzurra Zaglio 21/08/2013 | 11:56
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L’indipendenza energetica per un paese come gli Stati Uniti è fondamentale in un mondo dove la situazione geopolitica è instabile e può creare problemi strategici di rifornimento. Da tempo esiste una nuova fonte di energia, quella degli scisti. Oggi questa nuova tecnica di estrazione ha messo in discussione la convinzione che si fosse ancora lontani dal sostituire petrolio e gas convenzionali, in quanto meno costosi. 

Il cuore della “rivoluzione tecnologica” è il North Dakota, regione nel settentrione degli Stati Uniti che, insieme al Texas (stato che da solo produce 500 mila barili al giorno, più del 77% della produzione del 2012), è in pole position per ridisegnare gli scenari energetici e geopolitici mondiali.

Gli Usa sono stati per anni grandi importatori di petrolio, poiché almeno fino al 2005 la loro produzione di oro nero nazionale stava inesorabilmente declinando. Tanto che tutti i presidenti, da Nixon fino a Obama, si sono sempre posti il problema di come ritornare all’indipendenza energetica. Non sono i loro piani ad aver funzionato, ma il mercato: il prezzo del petrolio, superata una certa soglia intorno ai 70 - 80 dollari al barile ha stimolato nuove ricerche e la spinta innovativa ha portato alla messa a punto di una nuova tecnologia, detta fracking. Si tratta della fratturazione delle rocce profonde e della trivellazione orizzontale.

Capitale dell’oro nero
In North Dakota, a Williston, la capitale della nuova corsa all’oro nero, il boom petrolifero è facilmente visibile, con centinaia di lavoratori che arrivano da altri stati, attirati dai nuovi posti di lavoro pagati anche bene. La regione, infatti, ha prodotto in media 783 mila barili al giorno nel solo mese di marzo 2013, superando i 200 mila barili giornalieri del 2012. L’impatto è quindi sostanziale. Questo afflusso ha però creato problemi: affitti molto alti, mancanza di case nuove e rincaro dei prezzi, nonché una maggiore fetta di emigranti che si ritrovano a vivere per strada nei camper.

La portata del cambiamento è rivoluzionaria: l’America produceva nel 2005 circa cinque milioni e mezzo di barili al giorno, oggi quasi sette. Secondo le stime degli analisti Morningstar entro il 2016 dovrebbe raggiungere gli 8,9 milioni di barili al giorno e poco dopo il 2020 gli 11 milioni e superare addirittura l’Arabia Saudita, il più grande produttore di petrolio mondiale.

Nella roccia il petrolio si trova in pori visibili solo al microscopio di pochi millesimi di millimetro. L’estrazione avviene in diverse fasi. La prima è la perforazione di un pozzo a una profondità di circa 3 kilometri per rintracciare lo strato di roccia ricco dell’oro nero e seguirne poi orizzontalmente la formazione degli scisti. La tecnica dei pozzi orizzontali, sviluppata soprattutto per le trivellazioni in mare aperto, permette di mantenersi sempre all’interno della roccia ricca di idrocarburi. La seconda fase è la fratturazione delle rocce con pompe che iniettano acqua a 250 atmosfere e creano negli scisti una fittissima rete di fratture. Per mantenerle aperte viene pompata anche della sabbia o piccole sfere di ceramiche che, infilandosi nelle crepe, impediscono che si richiudano. A questo punto il petrolio inizia a fluire e una pompa la fa risalire immagazzinandolo in una cisterna.

L’ostacolo principale che limita questa estrazione è la mancanza di gasdotti e oleodotti che portino gli idrocarburi estratti verso i centri di raffinazione e le reti di distribuzione.

Riserve e risorse potenziali
Quante sono le riserve di petrolio estraibili con le attuali tecnologie dalla formazione di Bakken, lo strato geologico ricco di petrolio del North Dakota? Secondo le stime del serviziogeologico americano del 2012, le riserve trovate sono poco più di 7 miliardi di barili di petrolio. Il Canada, a sua volta, ha giacimenti per 180 miliardi di barili nelle “oil sands” dell’Alberta. In confronto, le stime delle riserve mondiali di petrolio convenzionale ammontano a 1300 miliardi di barili.

Massimo Nicolazzi del Centrex Europe Energy&Gas di Vienna, durante un approfondimento televisivo a SuperQuark, ha spiegato che “negli ultimi dieci anni gli Usa hanno risparmiato più di due milioni di barili di greggio al giorno, diminuendo i loro consumi interni, e insieme al Canada hanno aumentato la loro produzione interna di circa 3 milioni di barili.

Quindi cinque milioni barili che una volta si compravano in Venezuela, in Medio Oriente o in altri luoghi e che ora fanno sì che la dipendenza dalle importazioni di petrolio degli Usa sia scesa dal 70 al 40%.

Nello stesso periodo i consumi cinesi sono aumentati di circa cinque milioni di barili che significa che oggi il petrolio medio-orientale, ossia la vecchia geopolitica araba, è in qualche modo più sensibile alle necessità dello sviluppo cinese che non a quello americano”.

Dalla parte del gas
Qualche anno fa il dibattito era imperniato sull’esaurimento dei giacimenti di greggio, oggi le tecnologie aprono nuovi orizzonti. E non solo per il petrolio. Un discorso simile vale per il gas non convenzionale estratto con le stesse tecniche. Il prezzo di estrazione in America è diminuito negli ultimi sette/otto anni, tanto che è un terzo rispetto all’Europa.

Gli Usa, quindi, secondo il parere dei nostri analisti stanno ritornando competitivi in molti settori industriali grazie al basso prezzo dell’energia, come per esempio nel lungo termine nei trasporti e nei tecnologici, poiché si verrebbero a creare delle economie di scala virtuose. Non solo, stanno diventando esportatori di gas naturale in concorrenza con Russia, paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, sinora alla guida della grande macchina energetica.

Morningstar nel suo ultimo numero di Investor ha affrontato il tema delle energie alternative e il passaggio del testimone dalle raffinerie. Per leggerlo clicca qui

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Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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