I Bric cedono il passo

I giganti emergenti sempre in difficoltà. Eppure, dicono gli operatori, Brasile e Cina hanno ancora molto da dire. Sud est asiatico tra le nuove scommesse.

Valerio Baselli 25/06/2013 | 14:32
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Complice la Confederations Cup e le violente proteste di questi giorni, il Brasile è sicuramente il paese al centro delle attenzioni in questo momento. Ma non è certo l’unico tra i grandi paesi in via di sviluppo a vivere settimane travagliate. I fondi d’investimento dedicati ai Bric (acronimo che indica Brasile, Russia, India e Cina) hanno infatti perso in media il 16,9% da inizio anno (vedi tabella).

Fondi della categoria Azionari Bric per rendimento da inizio anno

Dati in euro al 21 giugno 2013, al lordo dell’imposta sul Capital gain.
Fonte: Morningstar Direct

Meglio il samba dei mariachi
Eppure, nonostante i recenti dispiaceri, alcuni operatori sono convinti che ci siano ancora molte opportunità in questi mercati. “I temi macroeconomici hanno sicuramente influenzato gli investitori e oggi c’è un sentiment negativo”, si legge in una nota a firma di Matthew Vaight, gestore del M&G Global Emerging Markets fund. “Oggi crediamo che siano enormi I profitti che si possono ottenere con un approccio di lungo termine basato sui fondamentali. Al momento, ci sono molte sacche di rischio nei mercati emergenti più grandi, come il rallentamento di Brasile e Cina. Tuttavia riteniamo che questi fattori siano più che scontati e pensiamo che ci siano interessanti opportunità per chi investe con un orizzonte temporale lungo”.

Ad esempio, il gestore di M&G oggi preferisce il Brasile al Messico. “Il Brasile è stato senza dubbio colpito dalle preoccupazioni sul rallentamento della crescita economica e dall’intromissione del governo nelle sue due società più grandi, Vale e Petrobas. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che le valutazioni siano drammaticamente crollate. Pensiamo che questo renda il Brasile meritevole di maggiore attenzione. Ci sono moltissime società ben gestite con modelli di business buoni e prospettive di crescita positive. Anche in Messico ci sono tante aziende di alto livello, ma alle valutazioni attuali, per noi, non costituiscono necessariamente un buon investimento”.

Aspettando il consumatore cinese
La Cina sta vivendo un periodo di transizione. La seconda economia del mondo deve cambiare modello economico e organizzativo se vuole proseguire sulla strada della crescita. A partire dalla trasparenza e affidabilità dei propri dati. “Ultimamente si sono aggiunti indizi sempre più insistenti che i dati sulle esportazioni siano massicciamente distorti. Grazie ad affari apparentemente fittizi di molte aziende cinesi, i numeri potrebbero quindi essere artificialmente gonfiati. Cosa che spiegherebbe le differenze rispetto ai relativi dati (più bassi) di molti partner commerciali importanti della Cina”, spiega una nota di Raiffeisen Capital Management. “Numerose scappatoie per queste transazioni fittizie stanno per essere chiuse dalle autorità, perciò sarà interessante analizzare i dati commerciali futuri”.

Nel complesso, la congiuntura cinese dovrebbe crescere a rilento anche nel resto del secondo trimestre e riprendersi soltanto nella seconda metà dell’anno, quando dovrebbe ripartire di nuovo soprattutto il consumo interno, che sembra ormai essere il vero tema d’investimento per chi punta sul futuro del Dragone. “In termini di popolazione, la Cina pesa quanto Europa e Nord America insieme, e inoltre l’età media è molto bassa e con un benessere in aumento. Il salario medio annuale in Cina è aumentato di almeno cinque volte dal 1999 a oggi”, afferma in una nota Didier Rabattu, gestore del fondo LO Funds Emerging Consumer. “La crescita nei consumi domestici è un trend pluriennale, addirittura su un orizzonte decennale. Il nostro obiettivo è quello di investire in aziende cinesi che siano l’equivalente della Coca-Cola, attive nella distribuzione o nella produzione di beni di consumo, ben gestite e al top delle rispettive categorie merceologiche. Società che possano beneficiare delle dinamiche strutturali in atto in Cina: consolidamento, sviluppo delle infrastrutture, occidentalizzazione dei consumi, aumento del reddito disponibile”.

Asean, i Bric di domani?
Per quanto non si possano ancora considerare i Bric come paesi sviluppati, è innegabile che negli ultimi dieci anni siamo cresciuti moltissimo e che quindi lo spazio per un’ulteriore corsa sia più limitato. Per chi fosse in cerca del nuovo gruppo di paesi pronti a fare boom, Greg Aldridge, gestore del fondo M&G Global Growth, ha un suggerimento: i paesi Asean (Associazione delle nazioni del sud est asiatico). A differenza dei Bric, l’Asean è un’associazione effettiva e non solo un acronimo coniato dalle banche di investimento, formato da dieci paesi (tra cui Tailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Vietnam, ecc.), con oltre 600 milioni di abitanti e più di duemila miliardi di dollari di prodotto interno lordo totale.

Negli anni, i paesi Asean hanno preso decisioni volte ad aumentare la cooperazione, attirando l’interesse degli investitori stranieri. “In questi stati il sentiment è decisamente ottimista, seppur il senso generale di euforia della regione si sia recentemente raffreddato”, commenta Aldridge in un comunicato. “Dietro alle aziende attive nel retail, ci sono dei fattori che trainano la crescita reale nella regione e che possono sostenere lo sviluppo di queste società. Innanzitutto, il reddito pro capite sta crescendo, e cresce anche la percentuale di reddito allocato nei consumi. Siamo entusiasti delle possibilità presenti nella regione e del loro potenziale di generare rendimenti per gli azionisti. Anche se crediamo che le prospettive siano positive, in mercati così pienamente valutati, occorre essere molto selettivi”. 

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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