I Cdo tornano sul luogo del delitto

Le grandi banche stanno aumentando l'emissione di strumenti legati al debito immobiliare. Gli stessi che hanno dato il via alla crisi finanziaria del 2007. Sono una risposta a chi cerca rendimento e a chi vuole diversificare. Ma i rischi restano. 

Marco Caprotti 24/04/2013 | 16:14
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La banda del Cdo colpisce ancora. E, dicono gli operatori, c’è il rischio che come nel 2006-2007 dia vita a una nuova crisi finanziaria. Le cosiddette Collateralized debt obligations (Cdo, appunto) sono strumenti finanziari all’interno dei quali vengono impacchettati diversi strumenti di debito (dai mutui alle obbligazioni corporate). L’asset che si ottiene viene poi venduto agli investitori. Il meccanismo con cui le perdite sul sottostante sono allocate fa la differenza. Prima vengono scaricate sulle emissioni junk e poi, via via su quelle di maggiore qualità. Con questo meccanismo, chiamato waterfall (cascata), è possibile ottenere titoli con diversi profili di rischio. Per chi incarta questi pacchetti è un gioco a rischio zero:  incassano e trasferiscono il rischio al compratore che, se il debitore non paga, resta con il cerino in mano.

Un altro problema sono i rating che vengono dati a questi strumenti finanziari. Molti dei Cdo che hanno dato il via alla crisi del 2007 avevano un giudizio di AAA che spesso, secondo il rapporto della Financial Inquiry commission (Fic) voluta dal presidente Usa Barack Obama e dal Congresso, era una truffa. I pacchetti contenevano obbligazioni con differenti meriti di credito. Questa diversificazione, secondo le agenzie di rating rendeva i Cdo più sicuri e, quindi, meritevoli di un giudizio più alto. Ma l’errore era di metodo. La pratica per l’assegnazione del rating era basata sulla media semplice dei giudizi sottostanti e quindi non scontava la maggior probabilità di insolvenza dei titoli con basso merito creditizio. Il risultato era che il rating veniva sistematicamente sovrastimato. Dimenticavano, però, che nell’immobiliare conta la diversificazione geografica e non quella degli asset. C’è poi un’altissima correlazione tra le insolvenze sui mutui. Quindi il pool di asset non era effettivamente diversificato. Il Cdo falliva proprio perché il pool di asset non era diviso ma gestito con il meccanismo di waterfall. E in presenza di una altissima correlazione non fallisce solo l’emissione junk ma anche quella senior. Si è poi arrivati ai “Cdo al quadrato” (Cdo squared, strumenti costruiti su altri Cdo) e ai “sintetici” che permettevano di fare scommesse multiple sulla stessa security (Goldman Sachs, secondo la Fic dal 2004 al 2007 ha venduto 73 miliardi di Cdo sintetici al cui interno c’erano 3.400 mutui. 610 di questi erano doppioni).

Il resto è cronaca (anche giudiziaria). Questo sistema ha portato allo scoppio della bolla immobiliare Usa che, a sua volta, ha prodotto più di 2mila miliardi di dollari fra perdite e svalutazioni per le istituzioni finanziarie di tutto il  mondo. Molti dei banchieri che hanno venduto o acquistato i Cdo (per poi rigirarli ai propri clienti) sono ora sotto processo per aver sottostimato (anche dolosamente) il pericolo. In Italia gli operatori stanno assistendo al caso Alexandria, un Cdo squared comprato da Monte dei paschi nel 2006. Per poter ridurre le perdite su questo titolo l’istituto ha acquistato da Nomura uno strumento forse più costoso e rischioso ed è sotto processo.

Caccia al Cdo
Oggi, a causa dei tassi di interesse ai minimi storici, grandi investitori (come i fondi pensione) sono alla caccia di strumenti che diano buoni rendimenti. Una ricerca difficile considerando che anche i junk bond (le obbligazioni spazzatura, pericolose e proprio per questo particolarmente redditizie) nel primo trimestre dell’anno hanno raggiunto rendimenti ai minimi storici.

Fra la fine del 2012 e l’inizio di quest’anno Deutsche Bank ha lanciato un Cdo da 8,7 miliardi di dollari in due tranche. Negli Stati Uniti a riaprire questa pratica è stata, fra gli altri, la società finanziaria Redwood Trust. Secondo un calcolo della Securities industry and financial markets association, negli ultimi due trimestri dell’anno scorso sono arrivati sul mercato 384 miliardi di dollari di Collateralized loan obligation (un segmento dei Cdo). La maggior parte di questi strumenti sono costruiti utilizzando titoli di debito collegati a immobili commerciali: quelli che, in questo momento sono più difficili da vendere e affittare, i cui valori sono ancora lontani dai picchi del 2007, a cui sono legati 450 miliardi di debiti in scadenza nel 2017 e che, per tutti questi motivi, sono considerati i più rischiosi.

Insomma, si sta verificando uno scenario simile a quello che ha scatenato quella che è stata bollata come la Grande recessione (la peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande depressione). E da allora lo scenario nel quale si muovo gli investitori per certi versi è rimasto simile: interconnessione dei mercati finanziari globali, velocità di transazione grazie alla tecnologia, asset sempre più complessi, basso coso del denaro e (last but not least) ripresa del mercato immobiliare residenziale che rende più coraggiosi gli investitori. E proprio perché i Cdo consentono di eliminare parti di attivo rischioso oppure di diversificare meglio il portafogli crediti le banche hanno un incentivo costante ad emetterli. Non c’è oggi nessuna regolamentazione che scoraggi questo comportamento. 

Nuova crisi in vista?
C’è il rischio che il ritorno dei Cdo inneschi una nuova crisi finanziaria globale? Dipende da come vengono usati. “In linea di principio è un potente fattore di gestione del rischio perché è comunque uno strumento di diversificazione”, spiega uno studio di Ken Smetters, professore di economia alla Wharton School (Università della Pannsylvania). “Il problema è che durante la crisi finanziaria sono stati utilizzati solo per guadagnare”. Vale la pena citare anche Warren Buffet che ha definito i Cdo financial weapons of mass destruction (armi finanziarie di distruzione di massa) perché al contrario li considerava uno mezzo di diffusione del rischio. Paradossalmente l’Oracolo di Omaha era il maggior azionista di Moody’s, società che ha assegnato la AAA a tanti Cdo che hanno fatto una brutta fine.

C’è poi da considerare l’atteggiamento degli investitori. “Oggi sono più informati che in passato e si spera che sappiano cosa si mettono in portafoglio”, continua Smetters. Il punto dolente resta il comportamento delle agenzie di rating che, secondo il professore “quando le cose facevano paura, davano un’immagine rosea”. Un esempio di questo atteggiamento arriva, ancora una volta, da Goldman Sachs. Ad aprile 2010 la Securities and Exchange Commission (la commissione americana di controllo sulle attività di Borsa) ha accusato di frode la banca Usa e uno dei suoi vice presidenti per aver venduto un Cdo sintetico chiamato Abacus pieno di titoli scarsa qualità molti dei quali avevano un giudizio di tripla A. Non ha detto però agli investitori che l’hedge fund che l’aveva aiutata a selezionare i mutui era lo stesso che su quegli strumenti stava facendo operazioni cosiddette short (in cui si guadagna quando l’asset perde). Uno scherzo che, secondo la Sec, agli investitori è costato 1 miliardo di dollari e alla merchant bank una multa da 550 milioni.

La negligenza delle società di rating, comunque, potrebbe non essere più tollerata. Un segnale in questo senso è arrivato a febbraio dal Dipartimento di giustizia Usa che ha citato (e chiesto una multa da 5 miliardi) Standard&Poor’s con l’accusa di aver frodato gli investitori gonfiando i giudizi e ridimensionando i rischi legati ai mutui con lo scopo di fare affari con le banche emittenti. S&P ha risposto che la controversia è “senza valore”. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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