Per gli Usa ci vuole la vista lunga

Gli operatori non si preoccupano dei dati macro americani di breve, ma preferiscono cavalcare temi di ampio respiro come il debito pubblico e il fiscal cliff. Intanto tornano ai dividendi. 

Marco Caprotti 13/02/2013 | 12:36
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L’ottimismo dei mercati Usa ha prospettive di lungo termine. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese ha guadagnato il 2,4%, portando a +4,5% la performance da inizio anno. Un movimento al rialzo confermato anche dal paniere Dow Jones che, a inizio febbraio, ha superaro la soglia dei 14mila punti (un livello che non vedeva dal 2007). E non importa se il Prodotto interno lordo americano nel quarto trimestre 2012 ha accusato una flessione dello 0,1% (+3,1% nel terzo trimestre), risentendo del calo delle scorte e della spesa governativa, in ribasso del 15%. Si tratta del primo calo registrato dal Pil nel quarto trimestre da tre anni e mezzo. Il dato, inoltre, è nettamente inferiore alle attese: gli economisti avevano messo in contro un miglioramento attorno all’1%. Quello che conta, semmai, è che il Pil Usa è migliorato del 2,2% nell’intero 2012, accelerando rispetto al +1,8% di crescita del 2011.

Il tetto si alza
Ma a spingere gli acquisti è stato soprattutto l’innalzamento del tetto del debito pubblico di 2.100-2.400 miliardi di dollari in tre tranche, a fronte di una riduzione analoga della spesa pubblica in dieci anni. Si tratta di una questione diversa dal fiscal cliff (l’insieme dei tagli alla spesa pubblica uniti alla fine degli sgravi introdotti nell’era Bush, per il quale è stata trovata una soluzione parziale) anche se è collegata. “Questo compromesso richiede che entrambe le parti lavorino su un piano più ampio per tagliare il deficit, che è importante per un buono stato di salute sul lungo termine della nostra economia”, ha detto il presidente degli Usa Barack Obama. “E poiché non è possibile risolvere il problema del deficit solo con tagli alla spesa, avremo bisogno di un approccio equilibrato, con tutti i temi sul tavolo”.

Secondo l’agenzia di rating Fitch la mossa ha eliminato il rischio a breve di un downgrade sul giudizio di triplo A degli Stati Uniti. “Senza la distrazione di una crisi sui finanziamenti a breve, Congresso e amministrazione hanno ora lo spazio per concentrarsi su importanti scelte di politica fiscale necessarie per porre le finanze su un percorso sostenibile nel medio-lungo periodo”, ha spiegato un comunicato della società di analisi. “Se, quindi, si arriverà a un accordo per un piano credibile di medio periodo per la riduzione del debito, allora verrà confermato il rating di tripla A e riportato l’outlook da negativo a stabile. “In assenza di un piano di questo tipo, invece, l’outlook negativo verrà trasformato in un downgrade entro gli ultimi mesi del 2013”.

Le scelte operative
Dal punto di vista operativo, gli investitori sono ottimisti. “Nonostante i mercati possano risultare frenati nel breve periodo, credo sia ancora possibile prevedere una crescita del Pil tra il 2% e il 2,5% per il 2013, con un notevole miglioramento nella seconda metà dell’anno. Un dato che supera la crescita stimata per Regno Unito ed Europa e che indica che gli Stati  Uniti hanno una maggiore possibilità di trovare una via d’uscita al proprio debito fiscale”, dice una nota formata da Terry Ewing, responsabile azionario Usa di Ignis Asset Management. “Le aziende che ho incontrato in Florida e Texas hanno rafforzato la mia opinione che, a parte le questioni fiscali, ci sono molte ragioni per essere positivi sugli Stati Uniti. Le società oggi approfittano del costo incredibilmente basso del debito e stanno inoltre beneficiando di bilanci forti e del più alto livello di cash flow nella storia degli Stati Uniti”.

Caccia al dividendo
Una strategia per muoversi sul mercato americano potrebbe essere quella di tornare a dare la caccia alle cedole. “A novembre le aziende statunitensi quotate che pagano dividendi, come la società di energia elettrica Southern Company e il gigante delle telecomunicazioni AT&T, sono state pesantemente vendute in quanto tra gli investitori è cresciuta la preoccupazione che i dividendi sarebbero un obiettivo per i politici che cercano di ridurre il deficit di bilancio degli Stati Uniti”, dice Stephen Thornber, gestore del fondo Threadneedle Global equity income. “La mancata soluzione del fiscal cliff avrebbe visto l’attuale tasso di imposta sui dividendi del 15% aumentare al 43% per coloro che percepiscono un reddito più elevato e, anche se la maggior parte ha pensato che ciò sarebbe stato evitato, molti commentatori avevano suggerito che un aumento al 25% era una possibilità realistica. Una serie di società statunitensi hanno accelerato i pagamenti dei loro dividendi nel 2012, dando cedole speciali o anticipando le date di pagamento per il 2013”.

Ma dopo l’accordo sul fiscal cliff, le imposte sui dividendi rimarranno al 15% per coloro che guadagnano meno di 450mila dollari, mentre il tasso per coloro che guadagnano oltre questa soglia aumenterà al 20%. Questo compromesso è stato accolto bene dal mercato e le azioni che prevedono il pagamento di dividendi si sono riprese rapidamente dall’incertezza della fine del 2012. “Negli Stati Uniti, dove le società hanno tradizionalmente privilegiato il mantenimento dei profitti per la crescita o il riacquisto di titoli propri, è incoraggiante vedere che molte aziende stanno introducendo o aumentando il dividendo per azione”, dice Thornber. “Negli ultimi due anni abbiamo già visto un aumento del numero di società che pagano una cedola che va dal 70% al 77% degli utili. Alcune aziende americane, inoltre, ci hanno detto che la domanda crescente di dividendi da parte  degli investitori sta avendo un’influenza sul loro processo decisionale di gestione del capitale”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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