Le Borse mondiali provano a darsi la scossa

L'indice Msci World nell'ultimo mese ha guadagnato l'1,4%. Ma pesano ancora le incertezze americane.

Marco Caprotti 26/02/2008 | 12:50
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I mercati mondiali cercano di uscire dal tunnel. Nell’ultimo mese (fino al 26 febbraio e calcolato in euro) l’indice Msci World ha guadagnato quasi l’1,4%. L’andamento non fa gridare al miracolo, riconoscono gli analisti, ma, aggiungono, è stato ottenuto in un momento in cui le notizie sulla crisi derivante dai mutui americani subprime e il rallentamento degli Usa - che per qualcuno è già recessione - sono state particolarmente pesanti.

Stabilire quando la tempesta finirà, invece, è un esercizio che pochi si sentono di fare. “Sono pessimista per quanto riguarda i ritorni che si potranno avere quest’anno dal comparto azionario” taglia corto Toan Tran, strategist di Morningstar. “Una recessione che colpisce soprattutto i consumatori avrà effetti negativi sugli utili aziendali. L’ar

ia di mercato Orso, invece, peserà sui multipli che gli investitori sono disposti a pagare per quei profitti”. Per l’esperto insomma, è meglio essere preparati a quello che accadrà nel breve termine. Ma è bene anche ricordare, aggiunge, che le turbolenze sono destinate a passare. “I mercati di questo tipo fanno soffrire”, spiega, “ma presentano anche eccezionali opportunità di investimento”.

Stati Uniti Gli Usa continuano ad essere osservati speciali. Una ripresa del mercato americano, infatti, farebbe da volano per le altre regioni del globo. In una intervista a Bloomberg Television il premio Nobel per l’economia Joseph Stigliz ha detto che “negli Usa è in corso un forte rallentamento. La bolla immobiliare è scoppiata e i prezzi delle case stanno scendendo. E secondo molti esperti caleranno ancora”.

Proprio sul fronte del mattone c’è da registrare la crescita delle confische effettuate dalle banche ai proprietari che non sono in grado di pagare i mutui. A gennaio, secondo i dati elaborati da RealtyTrack, sono aumentate del 90% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La situazione, del resto non è rosea nemmeno per gli istituti di credito americani che, da inizio 2007, hanno dovuto svalutare (e quindi segnare come perdita) 163 miliardi di dollari di asset legati ai mutui subprime. Per dare un po’ di ossigeno ai privati l’amministrazione Bush ha firmato un piano da 168 miliardi in tagli fiscali per 130 milioni di famiglie.

Sul fronte del mercato, secondo gli analisti di Morningstar, comunque, è meglio tenere un atteggiamento positivo. Soprattutto se si ragiona con un orizzonte temporale di medio e lungo periodo. “Il Dow Jones tratta con uno sconto del 17% rispetto al suo fair value”, scrive in una nota Jeffrey Ptak. “Nei prossimi tre anni potrebbe arrivare a 18.500 punti”. A febbraio l’indice della Borsa americana si è assestato intorno a quota 14mila punti.

Europa Il Vecchio continente guarda con preoccupazione a quello che succede negli Stati Uniti, anche se cerca di non farsi coinvolgere troppo. La Banca centrale europea, a differenza della Federal Reserve, prima di agire sui tassi di interesse preferisce avere una fotografia chiara dell’inflazione. La Fed, invece, storicamente non si interessa a questo dato e punta sempre a dare uno stimolo alla crescita. Un atteggiamento che sicuramente non abbandonerà durante la campagna presidenziale Usa.

Da questa parte dell’Oceano, del resto, escono dati in grado di tranquillizzare gli investitori. Secondo l’Ifo institute tedesco a febbraio la fiducia delle imprese in Germania è salito a 104,1 rispetto al 103,1 di gennaio. Si tratta del secondo mese consecutivo di crescita. Secondo gli economisti, è anche un segnale che l’economia di Eurolandia (di cui la Germania è il motore) potrebbe sopportare una recessione degli Usa. Secondo i manager delle aziende tedesche quest’anno, a livello continentale, si registrerà una crescita dei profitti, anche se più bassa rispetto al 2007. Se fosse vero, commentano gli analisti, il settore azionario europeo, potrebbe rappresentare un porto relativamente sicuro in attesa che passi la buriana.

Asia Più complessa la situazione dell’area asiatica che deve difendersi su tre fronti: quello americano, quello giapponese e quello cinese. Per quanto riguarda gli Stati Uniti un rallentamento o, peggio, una recessione, influirebbe pesantemente sulla capacità di spesa degli americani già provati dalla crisi immobiliare. Le conseguenze sui bilanci delle aziende asiatiche dell’export è, quindi, inevitabile.

Non aiuta il Giappone, alle prese con una crescente inflazione e un calo dei consumi. Le speranze poggiano sulla Cina che, per i prossimi anni promette di avere tassi di crescita importanti (intorno all’8-9%) ma deve comunque fare i conti con un’inflazione che ha toccato le punte massime degli ultimi 11 anni. In questo scenario, gioca a sfavore la crisi delle banche che, anche in Asia, stanno facendo i conti con la crisi legata ai subprime americani.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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