La telefonata, che è solo un esempio delle molte che riceviamo ogni settimana, impone una serie di riflessioni sulla cultura finanziaria in Italia che, nonostante le scottature della bolla tecnologica, i crack Cirio e Parmalat, il default argentino, continua ad essere bassa. Nel caso specifico, l’investitore ha comprato un titolo azionario, forse per sentito dire da qualche amico, senza conoscere la so
cietà. Non solo, allo sportello gli è stata data un’informazione sbagliata: Anima è una società di gestione quotata in Borsa che fa fondi non è un fondo. Le “tante Anima” che il navigatore diceva di vedere sul sito sono il prodotto della sua attività, così come per Bulgari sono i gioielli e per Luxottica gli occhiali.
Nessun problema se l’investitore è esperto, in caso contrario il rischio è che richieda strumenti sofisticati o esotici attratto dai buoni rendimenti. Mi viene in mente un lettore che ha chiamato perché voleva acquistare un’emissione obbligazionaria in rand sudafricani con una cedola del 10,5% e lamentava che il suo consulente l’aveva messo in guardia sul rischio, solo perché, a suo giudizio, lui non avrebbe avuto alcuna retrocessione sul collocamento di un simile titolo. Per lui, il paragone con l’Argentina, dove molti piccoli risparmiatori hanno perso somme consistenti, non regge. A suo dire, nel caso del Paese latino-americano la colpa è esclusivamente delle banche, non della maggior instabilità delle aree geografiche emergenti rispetto a quelle sviluppate.
Prima ancora che di consulenza, gli investitori italiani hanno bisogno di formazione. Alcuni sforzi in questi anni sono stati compiuti, molto però resta da fare. Troppi risparmiatori non sanno ancora distinguere tra un fondo, un’obbligazione, una polizza e una gestione patrimoniale. Troppi credono che si possa guadagnare molto senza rischiare; troppi sottoscrivono i prodotti senza accertarsi dei costi; troppi buttano via le comunicazioni della propria banca senza leggerle; troppi seguono le mode senza pensare nel lungo periodo. Penso, in quest’ultimo caso, soprattutto alla previdenza complementare e ricordo un lavoratore che ci ha chiesto come fare ad investire il suo Trattamento di fine rapporto (Tfr) in un fondo azionario Cina perché aveva visto che in un anno aveva reso molto più del fondo dei metalmeccanici.
Lo sviluppo dell’industria, che sforna strumenti sempre più complessi, e l’aumento delle informazioni disponibili per valutare rischi e rendimenti non sta andando di pari passo con la crescita della cultura finanziaria, un gap che va colmato a costo di ripartire dall’ABC.
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